sabato 27 ottobre 2012

Ancora sul Policlinico. Intervento della prof.ssa Gianna Tempera


Dopo la riunione di venerdì con i Colleghi della ex facoltà di medicina e con i dipartimenti di area medica,sento l’esigenza ( peraltro sollecitata anche durante la riunione) di partecipare con alcune mie riflessioni sulla situazione dell’area medica universitaria.
Come direttore di un dipartimento interessato non posso che associarmi al generale malcontento per una situazione di disagio che stiamo vivendo; situazione, a mio parere in massima parte ascrivibile, al ritardo nella costituzione di una struttura di coordinamento (la Scuola di Medicina) che, nel nuovo assetto organizzativo originato dalla legge Gelmini, con la disattivazione delle Facoltà, costituisce una necessità, non a caso prevista dalla stessa legge (recepita dal nostro statuto), a cui spettano ruoli e competenze non soltanto per coordinare le attività didattiche, di ricerca e di assistenza, ma anche per gestire, in primo piano e direttamente, le complesse problematiche riguardanti la sanità universitaria.
Leggo con piacere che almeno 3  candidati rettori hanno espresso le stesse esigenze, anche se avrei qualche commento in proposito.
La collega Ida Nicotra ha ben chiarito il ruolo fondamentale della Scuola, mettendo in guardia da percorsi che rischierebbero di sminuirlo. La Scuola di Medicina è l’interlocutrice diretta, in armonia con gli organi dell’Ateneo, per tutto ciò che riguarda i rapporti col Servizio sanitario nazionale: non deve certo limitarsi ad esprimere pareri (per quanto obbligatori, ma non vincolanti), bensì partecipare, con piena e pari dignità, all’attività di programmazione e di gestione.
In tale prospettiva, inoltre risulta tutt’altro che necessario un prorettore alla Medicina, come proposto dal collega Calabrese (singolare invero, d’altro canto, che un candidato al rettorato di area medica lo ponga come obiettivo del suo programma: immaginare un rettore e un prorettore di area medica mi pare unevidente esagerazione). Un prorettore medico, infatti, anziché rafforzare il ruolo della medicina universitaria rischierebbe invero di indebolire quello del suo rappresentante principale, il presidente della Scuola.
Ritengo invece più realistica l’osservazione del collega Iachellosi tratta di aprire una confronto con la Regione per ridiscutere la governance del Policlinico che non può, per le sue specificità, non vedere protagonista – anche per l’individuazione delle figure dirigenziali – la Scuola di Medicina, sia pure con percorsi di concertazione con la Regione. In altri termini, occorre capovolgere l’attuale quadro che vede il Policlinico subordinato alle scelte della politica’.
Proprio per questo, oltre che per garantire lindispensabile coordinamento dell’attività didattica di area medicaho firmato, insieme a moltissimi altri colleghi, il documento proposto , tra gli altri dai prof. Crimi e Basile, di richiesta di pronta attivazione della  Scuola di Medicina dell’Università di Catania.

Gianna Tempera
Direttore Dipartimento di Scienze Bio-mediche
Università di Catania

mercoledì 24 ottobre 2012

Ancora sul Policlinico. Intervento della prof.ssa Ida Nicotra


Ricevo un intervento, che condivido completamente, della collega Ida Nicotra, che è stata componente della Commissione per lo Statuto di Ateneo, e – d'accordo con la collega – lo pubblico nel blog.

Le sue osservazioni sono molto importanti perché ci indicano qual è la strada da seguire per garantire alla Scuola di Medicina il ruolo che le spetta. Non si tratta di riaprire un fronte 'interno' con modifiche dello Statuto. Esso definisce con chiarezza (recependo del resto la legge) il ruolo della Scuola, interlocutore diretto della Regione per quanto riguarda le materie di rilevanza sanitaria. Il riconoscimento alla Scuola di un ruolo meramente consultivo, pur nella forma del 'parere obbligatorio' (e quindi non vincolante), segnerebbe un passo indietro rispetto allo Statuto, che la rende invece protagonista nei rapporti Università/Regione.


Tuttavia, al di là di questo aspetto, mi pare che l'intervento del collega Pignataro (e in parte anche quello del collega Calabrese) riveli una consonanza di fondo con l'approccio e con le proposte che avevo avanzato nel settembre scorso (questo mi fa ben sperare per un confronto propositivo). Completo è l'accordo sull'urgenza dell'attivazione della Scuola di Medicina, ma anche sulle specificità del ruolo dell'azienda ospedaliero-universitaria, che non può appiattirsi sul versante dell'assistenza (come parrebbero forzare le scelte della Regione), ma deve essere messa in condizione di fare emergere le sue specificità  e le sue finalità  primarie legate alla didattica e alla ricerca. Per tutelarle, non posso non ribadire quanto sostenevo nel mio documento: occorre rivedere in Sicilia le regole di nomina della governance delle aziende di riferimento, che non possono non vedere protagonista l'Ateneo e in primis la Scuola di Medicina. I candidati governatori che ne pensano?



Di seguito l'intervento della prof.ssa Ida Nicotra


Il dibattito sulle differenti posizioni espresse dai candidati alla carica di Rettore costituisce un momento di confronto importante, anche ai fini di approfondire alcune tematiche che costituiscono altrettante sfide per il futuro della nostra comunità. Gli spunti di riflessione contenuti nei programmi sono diversi e molti degni di essere presi in seria considerazione. Con riferimento alle linee programmatiche riguardanti specificamente la Scuola di Medicina, diffuse, con l'e-mail di ieri, da Giacomo Pignataro, ritengo, tuttavia, sia doveroso fornire alcune precisazioni.

La proposta è di rendere più efficace il funzionamento della Scuola di Medicina, integrando «le norme statutarie per rafforzare i poteri e le funzioni della Scuola di Medicina nelle materie di rilevanza sanitaria, così come hanno già fatto altre Università. Si tratta, per esempio, di prevedere l’espressione di pareri obbligatori, da parte della Scuola, nelle materie che coinvolgono i rapporti tra l’Università e la Regione (piano sanitario regionale, protocollo di intesa, etc.), affinché la decisione dell’Università sia assunta dopo una sua discussione all’interno della comunità medica».

È bene ricordare, in proposito, che l'art. 2, comma 2, lett. c) della legge 240 del 2010 impone alle università statali di modificare «i propri statuti in tema di articolazione interna, con l'osservanza dei seguenti vincoli e criteri direttivi: [...] c) previsione della facoltà di istituire tra più dipartimenti, raggruppati in relazione a criteri di affinità disciplinare, strutture di raccordo, comunque denominate, con funzioni di coordinamento e razionalizzazione delle attività didattiche, compresa la proposta di attivazione o soppressione di corsi di studio, e di gestione dei servizi comuni; previsione che, ove alle funzioni didattiche e di ricerca si affianchino funzioni assistenziali nell'ambito delle disposizioni statali in materia, le strutture assumano i compiti conseguenti secondo le modalità e nei limiti concertati con la regione di ubicazione, garantendo l'inscindibilità delle funzioni assistenziali dei docenti di materie cliniche da quelle di insegnamento e di ricerca». 

Lo statuto dell'Università di Catania, in attuazione della richiamata disposizione di legge, all'art. 18, 2° co. prevede che spetta alla  Scuola denominata "Facoltà di Medicina":

a) esercitare le funzioni attribuite alle Scuole dal precedente articolo 17, comma 1;

b) curare i compiti conseguenti alle funzioni assistenziali, regolate dalle disposizioni statali in materia, secondo le modalità e nei limiti concertati con la Regione Siciliana, garantendo l'inscindibilità delle funzioni assistenziali dei docenti di materie cliniche da quelle di insegnamento e di ricerca;

c) curare, per quanto di competenza, i rapporti con il Servizio sanitario nazionale;

d) formulare pareri facoltativi in ordine alle proposte riguardanti la programmazione del fabbisogno di professori e di ricercatori formulate dai Dipartimenti raggruppati nella Facoltà di Medicina.


Ora è agevole comprendere, anche per i colleghi che non sono "giuristi", l'effettiva portata del dettato legislativo e della norma statutaria, che, in modo inequivocabile, attribuiscono alle strutture di raccordo – e, segnatamente, per quel concerne il nostro Statuto, alla Scuola di Medicina – la competenza a "curare" i compiti conseguenti alle funzioni assistenziali ed i rapporti con il Servizio sanitario nazionale. È alla Scuola che vengono demandate tali funzioni, senza che vi possa essere interferenza da parte di altri organi dell'Ateneo. Si tratta di una competenza già attribuita in via esclusiva alla Scuola.



In buona sostanza, la proposta contenuta nel programma del collega Pignataro mi sembra andare in senso contrario rispetto alle previsioni normative richiamate e, lungi dal potenziarne ruolo e funzioni, addirittura finisce per indebolire la posizione della Scuola di Medicina, laddove la stessa sarebbe declassata da organo deliberante a soggetto meramente consultivo, attraverso l'espressione di pareri meramente obbligatori, che, per definizione, non hanno valore vincolante. L'organo preposto a decidere sarebbe, dunque, tenuto a richiedere il parere, ma potrebbe liberamente discostarsene.


Ida Nicotra

martedì 23 ottobre 2012

Per un Policlinico universitario

(intervento già inviato via e-mail a tutto l'Ateneo il 17 settembre 2012)


Cari Colleghi,
la questione della medicina universitaria è cruciale per le prospettive del governo futuro del nostro Ateneo e del suo sviluppo. Essa rappresenta il punto di impatto più rilevante e delicato con il territorio in cui operiamo.
Sul piano generale, va detto anzitutto che – anche alla luce della progressiva contrazione di risorse pubbliche per il finanziamento del sistema universitario – pare ormai insostenibile che la spesa affrontata dall’Università a favore del SSN (per lo svolgimento di attività assistenziali) resti per intero a carico del sistema universitario e non del SSN. Ciò significa penalizzare, appesantendone i bilanci, gli atenei sede di scuole di medicina ad ampio spettro formativo, con conseguenti problemi di stabilità economico-finanziaria, già al centro del dibattito della CRUI.
Il nostro Ateneo, insieme alle Università di Messina e di Palermo, ha in qualche modo fatto fronte a questo grave problema attraverso un accordo con la Regione Siciliana, che ha prodotto il trasferimento del personale non medico addetto ad attività assistenziali al Policlinico.
Occorre chiarire che quest’accordo, mentre non ha intaccato in alcun modo diritti, posizioni giuridiche ed economiche del personale trasferito (le ha anzi rafforzate), non ha neppure messo in discussione l’appartenenza di questo personale al sistema universitario. Il personale in oggetto dipende dall’azienda di riferimento dell’Università e non certamente dalla Regione; a tale personale si applica il CCNL dell’Università e lo stesso è rappresentato dalle RSA dell’Università. Soltanto il costo stipendiale è stato correttamente trasferito dal sistema universitario al SSR, giacché è proprio il sistema sanitario che si è avvalso e continua ad avvalersi del contributo professionale di tali risorse umane. A tale personale è stato, per altro, definitivamente – e non più solo transitoriamente – riconosciuto lo status e l’inquadramento professionale (in molti casi migliorativo) proprio del sistema sanitario.
Ciò implica, d’altro canto, che tale personale, pur dipendendo dall’azienda Policlinico, è comunque obbligatoriamente assegnato a compiti di didattica e di ricerca, oltre che di assistenza, e deve porre in essere le proprie prestazioni assistenziali, di didattica e di ricerca in piena, necessaria e leale collaborazione, con i docenti universitari medici, sia nel loro ruolo di docenti (per l’attività didattica e di ricerca), sia nel loro ruolo di dirigenti medici (per l’attività assistenziale).
Le disfunzioni, quindi, che in qualche caso si sono verificate, in particolare per le Scuole di specializzazione, non sono conseguenza del ‘trasferimento’, ma di errori nell’applicazione degli accordi, che in quanto tali vanno denunciati per ripristinare corretti rapporti tra personale tecnico, amministrativo, sanitario e docenti.
Quel che pare, invece, non avere funzionato affatto in questi anni nella medicina universitaria catanese, e che viene vissuto con grave disagio sia dalla docenza universitaria, sia dai medici ospedalieri dell’azienda Policlinico-Vittorio Emanuele, è il modo in cui è avvenuta la recente fusione tra le due aziende, che è così apparsa, per molti aspetti, troppo affrettata, quasi imposta e quindi non compresa nella sua complessità.
La fusione, purtroppo, ha portato con sé grandi problemi esecutivi, con scarsi risultati in termini di maggiore efficienza e di risparmio di spesa (al contrario, i cattivi risultati di bilancio dell’ex Vittorio Emanuele si sono ribaltati sull’ex Policlinico), e ha, in particolare, prodotto gravi problemi di coesistenza tra medici universitari e medici ospedalieri.
Come se ne esce? La soluzione non può che essere quella di rinegoziare il tutto con il prossimo governo regionale, con autorevolezza e con fermezza, così da tutelare in un tempo la dignità dei docenti universitari, la qualità della formazione e la ricerca clinica. Ciò, al di sopra di qualsiasi logica politica. Occorre, in sostanza, riportare in primo piano la missione specifica dell’Università, che fornisce, certo, assistenza, ma pur sempre nell’ambito dei suoi compiti prioritari che rimangono la didattica e la ricerca.
Questi compiti, cioè formare i nuovi medici dotandoli delle conoscenze e delle competenze più aggiornate e adeguate, non sono un ‘privilegio’ dell’Università, sono il servizio a cui è istituzionalmente chiamata nel territorio. La fusione, così com’è stata realizzata, sembra non averne tenuto assolutamente conto: non è stata operata a partire da una seria e meditata programmazione dei compiti formativi, soprattutto del triennio clinico, e non ha tenuto conto a sufficienza delle esigenze del governo clinico, che avrebbero dovuto comportare un più diretto coinvolgimento degli organi dell’Università, in primo luogo dell’allora Facoltà di Medicina.
Non c’è dubbio che il micidiale piano di rientro, indispensabile strumento a garanzia di un paventato commissariamento, non sempre è stato applicato con razionalità; anzi, talvolta, anche prima della fusione, è stato inteso come uno strumento per tagli indiscriminati, tali da mettere in ginocchio quasi tutti i settori della medicina universitaria, che hanno subito effetti catastrofici in termini di valutazioni falsate tradotte poi in tagli di posti letto legati a una lettura viziata di tutti i parametri di valutazione. In altri termini, il piano di rientro è stato applicato come un piano di ‘assideramento’, di accorpamento non sempre razionale, con conseguente taglio trasversale delle risorse anziché dei ‘rami secchi’.
Ecco perché il problema principale è quello della governance.
In tutte le aziende sanitarie i politici dovrebbero fare un passo indietro e affidare la scelta dei dirigenti a criteri meritocratici, che l’Università sa meglio garantire e gestire. A maggior ragione ciò vale per il Policlinico. Senza un ‘governo clinico’ l’azienda ospedaliero-universitaria si snatura. Occorre affermare il primato dell’Università nella governance, ancorando la scelta dei vertici non all’arbitrio del politico di turno, bensì al rispetto di requisiti meritocratici.
In altri termini, si proceda alla nomina dei vertici attraverso bandi e selezioni, sulla base di criteri trasparenti, la cui formulazione e applicazione non possono che essere di pertinenza dell’Ateneo e della Scuola di medicina. Di più: si definiscano obiettivi e percorsi di sviluppo ancorati alle esigenze del territorio e miranti allo sviluppo di poli di eccellenza, salvaguardando le peculiarità della medicina universitaria, che coniuga formazione, ricerca e assistenza in un legame indissolubile che può attivare processi virtuosi tali appunto da conseguire l’eccellenza. E occorre essere franchi: per conseguire l’eccellenza non bastano i proclami; essa va costruita, faticosamente, con rigore e impegno.
Al giorno d’oggi, tutti i discorsi, tutte le ‘ricette’ sembrano ormai ridursi ai tagli da fare (pur necessari), mentre è evidente che occorre sempre più coniugare rigore e sviluppo. È vero per il Paese, ed è vero per la sanità. La medicina universitaria può crescere solo puntando all’eccellenza. Occorre modificare comportamenti e impostazioni in modo che si possa favorire la crescita e l’espressione di professionalità, che appaiono ostacolate e compresse da fenomeni in cui la logica dominante appare essere quella del controllo politico clientelare o della mera ‘autoriproduzione’ della classe medica.
La fusione tra Policlinico e Vittorio Emanuele va peraltro integrata con una forte politica di inserimento dell’azienda nel territorio, tale da renderla leader nella realizzazione di un vero teaching hospital caratterizzato da una forte integrazione dell’assistenza, della formazione e della ricerca. Non un doppione di strutture esistenti sul territorio, ma un polo di eccellenza dove l’innovazione rappresenti l’elemento fondamentale affinché l’Università possa tornare ad essere capofila della sanità, almeno provinciale, e sia un punto di riferimento per tutti gli operatori sanitari. Solo così non correrà più il rischio di diventare facile terreno di conquista della politica. Se è vero che la passata gestione del Policlinico da parte di un ‘rettore politico’ aveva già inaugurato il metodo del controllo politico sulla medicina universitaria, non v’è dubbio che la creazione della mega-azienda si è tradotta in una forte perdita di autonomia universitaria nella gestione dell’azienda; ecco perché nel futuro l’azienda ospedaliero-universitaria dovrà essere il luogo dove si insedia per intero la Scuola di medicina e dove l’assistenza viene resa funzionale alla ricerca e alla formazione medica di altissima qualità. Le nuove strutture in corso di completamento consentono di trasferire presso il Policlinico tutte le unità di eccellenza disseminate in questo momento in altri ospedali cittadini, favorendo per tale via una unificazione di governance della medicina universitaria. Si aggreghino inoltre le unità ospedaliere effettivamente necessarie ai corsi di studio della Scuola di medicina, adottando appunto come criterio guida prioritario la didattica e la ricerca.
La concentrazione dell’attività di ricerca, didattica e assistenziale in un’unica azienda (davvero di riferimento dell’Università e non della politica!) deve rispondere a una sfida: al di fuori di ogni autoreferenzialità, la medicina universitaria catanese può e deve tornare ad essere culla della grande medicina nazionale e internazionale, polo di attrazione di degenze non solo regionali ma nazionali; deve collegarsi in rete con i grandi centri di ricerca medica presenti in Sicilia (per esempio, l’Ismett); e non solo, deve fortemente specializzarsi nel quadro della programmazione regionale e deve soprattutto rispondere alla logica della eccellenza medica, fuori da ogni dipendenza dalla politica.
Sarà così possibile valorizzare al meglio, anche per il profilo assistenziale, le carriere delle migliori professionalità medico-universitarie presenti nelle strutture ospedaliere catanesi, attualmente compresse dalla insostenibile coabitazione con la medicina ospedaliera.
In termini normativi, ciò significa – va ribadito – rivedere in Sicilia le regole di nomina della governance dei policlinici universitari (direttore generale, direttore amministrativo e direttore sanitario): la scelta finale, pur prevedendo momenti di concertazione, deve essere sostanzialmente demandata agli organi di governo dell’Università e alla Scuola di medicina (che andrà quanto prima attivata come previsto dalla normativa).

giovedì 18 ottobre 2012

Università ed elezioni regionali


Credo che l'Università debba intervenire in questa campagna elettorale non certo schierandosi, ma chiarendo le sue esigenze e il ruolo che la Regione potrebbe svolgere. Di più, deve diventare interlocutore attivo nella definizione dei programmi, senza impegnarsi ovviamente in uno schieramento, ma facendo impegnare i candidati disponibili ad assumerla come interlocutrice essenziale per il rinnovamento di cui tutti parlano. Non sarebbe questo, del resto, un modo per ‘qualificare’ il momento elettorale che appare purtroppo svilito in un rituale propagandistico che provoca sempre più disaffezione e astensionismo? Possiamo provare a non sprecare l'occasione, almeno in termini di confronto.
In una situazione di crisi e di difficoltà finanziaria inutile avanzare richieste consistenti di interventi economici. Si può però avanzare la richiesta di scelte prioritarie su cui puntare in modo che le risorse non siano semplici aiuti ma veri e propri investimenti. Di più, si può e si deve, a mio avviso, chiedere di assumere l'Università come risorsa a disposizione del territorio per la sua crescita complessiva.
Proviamo allora a prendere sul serio le elezioni come occasione democratica di confronto e sottoponiamo agli aspiranti governatori e ai partiti che li sostengono alcune proposte riguardanti in modo specifico l'Università.
Le elenchiamo schematicamente:
   
a. Diritto allo studio. Un'efficace politica passa attraverso la ridefinizione e il potenziamento dell'ERSU, con un investimento in alloggi e mense attraverso progetti che prevedano anche la partecipazione di privati che possano utilizzare queste strutture nei periodi 'vuoti' (estate, festività) anche per ricezione turistico-culturale.

b. Medicina universitaria e sistema sanitario pubblico. Il sistema sanitario è stato ed è vittima privilegiata degli appetiti politici, spesso famelici; da tale voracità non è stata risparmiata la medicina universitaria, anzi recentemente, a Catania, a causa di una fusione tra le aziende a dir poco precipitosa, la medicina universitaria è diventata un ‘boccone prelibato’, e sin troppo tenero, della politica. Occorre allora ribadire il primato della mission della medicina universitaria, che non può essere solo assistenziale, ma orientata, in primo luogo, alla didattica, alla formazione e alla ricerca. Nella struttura di governance dell’azienda Policlinico, la Scuola di Medicina deve riottenere il ruolo che le compete e che le è stato di fatto sottratto con un vero colpo di mano della politica e della burocrazia regionale. Il primo passo per restituire ciò che è stato indebitamente sottratto, non solo alla Scuola di Medicina, ma al sistema universitario nel suo complesso, è il riconoscimento, nel nuovo protocollo che si andrà a stipulare, di un ruolo fondamentale e decisivo (non puramente formale) dell’Università, e dei suoi organi di governo e rappresentanza, nella selezione del management di vertice dell’azienda di riferimento. Analogamente, i vari dipartimenti universitari, in base alle competenze di ciascuno, potrebbero fornire un utile contributo per l'individuazione e per la selezione dei manager degli enti regionali nei casi in cui siano previste competenze e qualificazioni non strettamente 'politiche', in modo di pervenire alla definizione di albi di personale qualificato a cui attingere. Sarebbe un passo indietro della politica e un passo in avanti delle istituzioni culturali e tecniche, i cui vertici 'tecnici' non verrebbero più etichettati come appartenenti a questo o a quel politico.

c. Formazione e master. Definire con l'Università, le imprese e i sindacati percorsi di formazione finanziati dalla Regione in base alle esigenze del mercato del lavoro. Affidare all'Università la selezione delle proposte progettuali e il monitoraggio dell'attività didattica.
Non può essere la Regione a effettuare la 'selezione' delle proposte di master universitari; i finanziamenti vanno assegnati alle università, affinché siano esse a decidere quali master attivare, tenendo conto prioritariamente degli sbocchi occupazionali offerti dal mercato del lavoro, delle richieste di formazione provenienti dalla base, dell’effettiva possibilità di svolgere stage professionalizzanti.

d. Beni Culturali. Individuazione del settore dei beni culturali (con particolare attenzione all’urbanistica, al recupero architettonico e all’archeologia) quale settore strategico per lo sviluppo dell'Isola; ciò anche attraverso l’incentivazione di iniziative in sinergia pubblico/privato, che riconoscano all’Università il ruolo, che le compete, di leadership scientifica.

lunedì 15 ottobre 2012

Il Monastero e la città: cultura e identità

 Scena dello spettacolo U' Ciclopu di Vincenzo Pirrotta

Vincenzo Pirrotta recita U' Ciclopu

L'attore catanese Leo Gullotta presta la sua voce come narratore

La Facoltà di Lettere e Filosofia si è impegnata a promuovere l'Etna come Patrimonio dell'Umanità, organizzando una serie di iniziative culturali che avevano come centro tematico proprio il nostro vulcano. Tra le iniziative di maggiore successo, lo spettacolo U' Ciclopu di Vincenzo Pirrotta e il recital multimediale (con filmati e tracce sonore) interpretato da Leo Gullotta, con regìa di Ezio Donato.

Il Monastero e la città: le feste degli studenti aperte al quartiere

Esibizione dei Tinturia nel cortile del Monastero dei Benedettini di Catania

Il pubblico di giovani partecipa alla Festa di primavera, organizzata dagli
studenti della Facoltà di Lettere e Filosofia

Gli inconfondibili arrusti e mancia, con il fucuni realizzato
dal fabbro di quartiere, e la preparazione dei panini



Aprire l'Università al quartiere e alla città è stata una scelta che ha permesso di stabilire rapporti positivi con il quartiere che con la sua storia e la sua identità 'popolare' era spinto alla diffidenza verso una struttura che rischiava di apparire 'seperata' e a sua volta 'diffidente'. Per questo, aprire le porte alla città intera – e ai ragazzi di piazza Dante, in particolare – è stata una scelta importante e alla fine vincente. L'organizzazione di concerti, con i gruppi scelti e proposti dagli stessi studenti, ha permesso di gettare un ponte sull'esterno, di iniziare a conoscere il vicino di casa, di condividere spazi e attività culturali. L'incontro si è svolto lungo un percorso di reciproca conoscenza. La Facoltà è uscita 'fuori', il quartiere è venuto 'dentro': nel cortile del monastero sono entrati gli arrusti e mancia, il cibo di strada per eccellenza, il panino con la carne cotta alla brace sul momento.
Il risultato è un legame forte, una identità 'di luogo' comune, condiviso.

giovedì 11 ottobre 2012

Essere comunità

Ringrazio Antonio, Carmelo e Valter per la loro testimonianza di amicizia. Quando si lavora insieme e si riesce a far crescere e cementare un legame di vera amicizia (così è nata la nostra), credo che si possa già essere soddisfatti, al di là dei risultati. Nel nostro caso però i risultati ci sono stati (va detto senza falsa modestia) e Antonio li racconta, da protagonista, con lucidità e partecipazione, riuscendo persino a commuovermi. Perché non dirlo? Nell'essere studiosi impegnati nel governo della Facoltà questo legame non è stato un elemento secondario. Ci ha sorretto, ci ha consentito di parlarci con franchezza ma con affetto, e quindi ci ha permesso di condividere percorsi, proposte, soluzioni. Con un forte senso di appartenenza. Ed è questo sentirsi parte di una comunità che - in una fase difficile come quella attuale - dobbiamo favorire ed accrescere, in accademia e in città. Non stiamo con questi discorsi introducendo elementi impropri o un di più (o un di meno, a seconda dei punti di vista) nella discussione: stiamo sottolineando e valorizzando una componente essenziale che i conflitti e le polemiche sembrano in alcuni momenti svilire, ma che è, a ben pensarci, indispensabile per la vita della nostra istituzione e per il suo ruolo nel territorio. Una identità, una appartenenza appunto.
L'intervento di Carmelo Crimi, direttore del dipartimento di cui faccio parte, pone in modo urgente il dato nuovo su cui ancora stentiamo a riflettere: i dipartimenti non possono essere la replica delle vecchie facoltà. Sarebbe un'occasione mancata immaginarli così. Non possiamo continuare a 'subire' la riforma, dobbiamo valutare le 'occasioni' che offre. In passato c'è stata una riflessione innovativa che proponeva il 'superamento' delle facoltà. Ora è possibile riprendere il discorso e ridefinire l'offerta didattica ancorandola ancor di più alla ricerca. Questo ancoraggio prima era affidato al singolo docente, ora dovremmo immaginarlo frutto di una elaborazione collettiva; in altri termini, dovremmo abituarci a un confronto sui contenuti della ricerca e della didattica, a un progetto formativo frutto di questa riflessione e non semplicemente e banalmente corrispondente ai requisiti tecnici previsti dalla 'griglia' ministeriale. Lamentiamo il burocratismo, ma cosa riusciamo ad elaborare noi in termini di progettazione che entri nel merito e nel metodo del legame didattica e ricerca non individualmente, ma appunto come dipartimento? Non siamo abituati a farlo, ciascuno di noi è geloso della propria 'autonomia'. Nessuno vuol metterla in discussione, il confronto e l'elaborazione di un progetto comune non ledono la libertà di insegnamento. Ma essa non può continuare a tradursi in separatezza. Certo è più semplice rifugiarsi nelle lamentele contro i CFU e altri tecnicismi. Non dovremmo andare oltre il semplice calcolo dei crediti e della distribuzione delle discipline nel piano didattico, e legarla a una riflessione sui 'contenuti'? Chiedo troppo? Ma la 'qualità' che tutti invochiamo come nasce? Dal fatto che la griglia ministeriale dà il 'via libera' ai nostri piani didattici? Ma così ci rendiamo noi subalterni alla burocrazia. Lo so, lo ripeto, che non è facile, ma la situazione è difficile, non possiamo pensare di cavacerla con giaculatorie e piagnistei.

lunedì 8 ottobre 2012

Cominciare a ragionare





Qualche mese fa
 (il 21 giugno 2012), ho annunciato la mia intenzione di candidarmi alla carica di Rettore dell'Università degli Studi di Catania. 

Per quanto si possa pensare – e qualcuno lo ha osservato – che forse si siano anticipati troppo i tempi, quell'annuncio, per quel che mi riguarda, rispondeva all'esigenza di un confronto ampio e non angustiato da scadenze imminenti.
L'indicazione, ora, di una quasi certa anticipazione della data delle elezioni rettorali al mese di febbraio 2013 rende i tempi più stretti e impone di accelerare la fase di confronto e  di discussione, che saranno sicuramente intensi, anche in considerazione dei rilevanti cambiamenti introdotti dalla cosiddetta 'riforma Gelmini' e dal difficile momento che il Paese vive. 
Ci troviamo in una situazione del tutto nuova, in parte inattesa.

Innovazioni significative, che spesso hanno disorientato e in parte ancora disorientano la comunità universitaria, sono state introdotte dalla legge e recepite nel nuovo Statuto del nostro Ateneo. Il dibattito è stato a volte aspro, come è forse normale quando si discute di regole. Ora è intervenuta però la sentenza del TAR che ha respinto il ricorso del Ministero. Ciò può (deve, credo) chiudere la fase 'costituente' (e delle connesse polemiche) e aprirne un'altra sul futuro dell'Università.
Forte è stato anche il disagio manifestato di fronte alla riorganizzazione amministrativa in atto. Su alcuni di questi temi ho già espresso le mie considerazioni, sia attraverso il quotidiano locale sia per mezzo di e-mail (questi interventi saranno da ora in avanti reperibili  anche qui), e tornerò ancora a esprimerle, sollecitando il confronto e il contributo dei colleghi, e – se lo credono – dei cittadini.

Con questo nuovo blog, vorrei soprattutto offrire luogo e opportunità di un confronto 'pubblico', non limitato alla mailing list dell'Ateneo e sottratto anche all'inevitabile ping pong  'a due' (botta-risposta, per intenderci) tra chi scrive e l'eventuale interlocutore. 
Nel blog si può aprire un dibattito in cui gli attori possono dialogare anche tra loro, oltre che con il 'candidato', con ricadute positive sul confronto e con un conseguente arricchimento delle proposte e delle soluzioni. 

Mi piacerebbe che il confronto non ignori il contesto, per assicurare in pieno all’Istituzione universitaria l’ufficio 'civile' per cui essa è nato in Europa.

L'aggravarsi della crisi (oramai non solo finanziaria, anche se soprattutto finanziaria) ha messo a nudo una fragilità complessiva dell'Europa e non solo del nostro Paese. La classe politica europea non appare all'altezza della sfida, e i vertici nel loro insieme appaiono in grave difficoltà. La nostra classe politica, in Italia e in Sicilia, ci mette di suo una pervicacia che preoccupa. Occorre attrezzarsi per far fronte a una situazione destinata ad aggravarsi e a protrarsi. Credo cioè che non possiamo aspettarci soluzioni miracolistiche o a breve. Perciò provo a riflettere concretamente su quel che intanto possiamo fare, qui in Sicilia, qui a Catania. Lascio ai 'generici' le analisi sulla crisi e sui suoi effetti: non v'ha dubbio che il maggior prezzo lo paga il Sud dell’Europa, trovo infantili queste improvvise conversioni alla 'virtù' della Germania guida dell’Europa federale.

Visto che la crisi sarà lunga, conviene – lo ripeto – predisporsi a farvi fronte qui e ora. In altri termini, come Ateneo dobbiamo porci e dobbiamo porre al territorio la questione del ruolo che l'Università può e deve svolgere per aiutare il Paese a uscirne: poiché di questa crisi siamo parte, siamo chiamati a contribuire a fronteggiarla per l’oggi e a superarla per il domani. 
La 'campagna' per il Rettorato non può allora essere un fatto 'interno' all'Ateneo. L'Università e il territorio hanno bisogno di confrontarsi per rinnovarsi e per far fronte alla crisi. Nel rispetto dei ruoli di ciascuno, occorre consentire una interazione positiva e produttiva.
Il Rettore in carica ha programmato interviste con la radio di Ateneo e con le televisioni locali per 'raccontare' quanto si discute e si decide negli organi collegiali. Quale migliore occasione della competizione elettorale per il nuovo Rettore? 

È bene che la città sappia di cosa si discute nel suo Ateneo. Purtroppo l'informazione (ma è anche inevitabile, credo) spesso privilegia i momenti di conflitto, com'è accaduto anche di recente. Perché non coinvolgere la città in un dibattito su proposte che in ogni caso la riguardano, anziché sollecitare soltanto curiosità scandalistiche? 

I temi più immediati, che toccano l’interno e l’esterno, sono quelli proposti dai candidati alla presidenza della Regione Siciliana. Tocca agli atenei dell’isola chiarire le proprie esigenze e il ruolo che la Regione potrebbe svolgere. Di più, l'Università dovrebbe tentare di diventare interlocutrice attiva nella definizione dei programmi, senza impegnarsi ovviamente in uno schieramento, ma facendo anzi impegnare i candidati disponibili ad assumerla come interlocutrice essenziale per il rinnovamento di cui tutti parlano. Non sarebbe del resto un modo per 'qualificare' in termini di reale confronto il momento elettorale che appare purtroppo svilito in un rituale propagandistico che provoca sempre più disaffezione e astensionismo? Possiamo provare a non sprecare l'occasione, almeno in termini di confronto.

Il mio programma scaturirà da questi confronti, che dovranno realizzarsi anche attraverso incontri 'non virtuali'. Vorrei insomma trasformare le osservazioni mie e di quanti riterranno di intervenire, via via formulate in questo blog e negli incontri de visu, in una proposta strategica per l'Ateneo e per il territorio.