giovedì 29 novembre 2012

Intervista su Telejonica

(Intervista andata in onda il 29 novembre 2012)



intervista realizzata da Valentina Macauda per Telejonica

martedì 27 novembre 2012

Risposta alla CGIL

Ho sempre sostenuto (e praticato da preside) che l'Università debba stabilire un rapporto costante con il territorio in cui opera e quindi con le forze sociali, imprenditori e sindacati, con le scuole, ma anche con il variegato mondo dell'associazionismo civile e culturale e del volontariato. Lo testimoniano le numerosissime iniziative di carattere sociale e culturale che la Facoltà di Lettere e Filosofia da me presieduta ha intrapreso in collaborazione con i licei della città, con le istituzioni culturali (dal Teatro Stabile al Bellini, alla Biblioteca Regionale, alla Biblioteca Civica Ursino Recupero), ai club service. Mi piace ricordare la 'cena con gli immigrati' che nel periodo natalizio abbiamo offerto (a spese dei docenti della Facoltà, e non con risorse pubbliche) in collaborazione con il Comune ai rappresentanti delle comunità di immigrati, o  nello stesso periodo  'l'albero della solidarietà', raccolta di cibo, in collaborazione con la Caritas. Li cito perché, insieme alle attività culturali, testimoniano un forte impegno civile nel territorio. Io credo che, nella drammatica situazione di crisi, l'Università debba siglare un 'patto con il territorio' e qualificarsi sempre più come una risorsa per il territorio. Questo, del resto, lo spirito della mia lettera aperta al Presidente della Regione, che contiene precise proposte, direi 'offerte', di collaborazione.
Di più: la nostra offerta formativa deve essere razionalizzata e calibrata a partire dai concreti bisogni del nostro territorio e quindi deve emergere non solo da un dibattito interno alle strutture accademiche ma da un confronto con gli attori territoriali. L'ho praticato nei confronti delle scuole, vorrei diventasse una pratica diffusa e più ampiamente coinvolgente.
Per quel che mi riguarda, l'appello della CGIL, quindi, sfonda  per così dire  una porta aperta.
Per quanto concerne gli ulteriori problemi sollevati (stabilizzazioni, pagamento ricercatori), ho avuto modo di esprimermi pubblicamente e ribadisco che ho partecipato, da senatore accademico e ora da consigliere di amministrazione, all'avvio e al consolidamento dei processi di stabilizzazione; sui ricercatori occorre dire che ho anche io elaborato la proposta di destinare un fondo per l'attività di ricerca destinato ai ricercatori, a 'bilanciamento' dell'impegno gratuito per parte dell'attività didattica dagli stessi svolta. Nella situazione attuale non c'era alternativa: pagare integralmente significava chiudere molti corsi di laurea. I ricercatori, nella stragrande maggioranza, hanno accettato, con grande spirito di sacrificio e senso di responsabilità istituzionale, e infatti i corsi di laurea si stanno svolgendo.
Quanto poi alle cosiddette 'linee guida', al riguardo non può sfuggire che il 'depotenziamento' del rettore, a cui compete l'avvio dei provvedimenti disciplinari, di fatto le ha già sospese. Solo in casi di estrema e palese gravità il rettore, in questa delicata fase che precede l’elezione del nuovo rettore, avvierà procedimenti disciplinari. D'altro canto, avendo già chiarito che tali 'linee guida' non rappresentano, a mio avviso, l’intenzione dell’ateneo di schierarsi contro la libertà di espressione, ma soltanto un invito a lasciare operare in serenità i colleghi a cui è stato democraticamente affidato l'ingrato compito di sedere nel collegio disciplinare (in linea con quanto ho sempre sostenuto, a tutela dell’autonomia della magistratura e della democrazia in generale, allorquando alcuni politici hanno provato a condizionare l'esito dei processi a loro carico con strumenti 'impropri'), e avendo appurato che tale interpretazione delle 'linee guida' trova pacifico e pieno accoglimento da parte della comunità universitaria, non ho alcuna difficoltà oggi a valutarne la sospensione, fermo l'auspicio – che verrà sottoposto con fermezza dal nostro ateneo all’attenzione del Governo nazionale – che venga prontamente rivista la previsione della legge 240/2010, che ha spostato in capo ai singoli atenei la competenza disciplinare, la quale va restituita al CUN, come richiesto anche dalle organizzazioni sindacali.
Enrico Iachello

domenica 25 novembre 2012

La sfida "Machiavelli"


Lamberto Puggelli ed Enrico Iachello all'inaugurazione del Teatro Machiavelli (18 aprile 2010)


Il taglio del nastro

La grande scommessa di riaprire un teatro



(Intervento del maestro Lamberto Puggelli)



Anni addietro ho conosciuto Enrico Iachello, allora Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia. Ci siamo incontrati diverse volte, per ragioni istituzionali, e abbiamo iniziato a parlare di progetti, per migliorare, con l’esercizio delle nostre rispettive competenze artistiche, intellettuali e organizzative, la qualità dell’offerta culturale nella città di Catania, alla quale, come molti sanno, sono legato da una trentennale esperienza di lavoro e da affetti. Abbiamo iniziato a condividere idealità e linee d’intervento, entrambi convinti della assoluta necessità storica di agire, per diffondere la cultura, la vera arte, al fine di risvegliare le coscienze dallo stato di torpore in cui questa nostra epoca rischia di trascinare tutti. E, dopo diversi interventi isolati, convegni, manifestazioni, seminari, spettacoli ai Benedettini, concepiti per gli studenti e gli specialisti, ma rivolti a tutta la città, abbiamo messo a fuoco un comune progetto, al quale da tre anni ci dedichiamo insieme, ciascuno in base alle proprie competenze, e che oggi sta producendo un modello operativo che viene non solo elogiato e apprezzato a livello italiano ed estero (si vedano gli articoli pubblicati sulla stampa nazionale e internazionale interessata al nostro “esperimento”), ma che inizia ad essere esportato e viene additato a modello.
Enrico è l’anima intellettuale e organizzativa, io quella artistica, di questa sfida ai tempi che stiamo perseguendo con un cenacolo di artisti, docenti, studenti, attori, amici che si sono stretti intorno al progetto di Enrico e mio: sperimentare una forma di attività teatrale all’interno dell’Ateneo in grado di proiettarsi nella città, soddisfacendo quella fortissima richiesta di arte e teatro di alta qualità e spessore intellettuale, che parta dal coinvolgimento delle emozioni. E al tempo stesso, sperimentare una forma di produzione in massima economia, senza soldi pubblici e senza costi per il pubblico, se non nei termini di una libera e volontaria contribuzione. Un teatro in grado di superare la crisi finanziaria e lo scadimento della qualità delle proposte di questo nostro tragico presente.
Da anni riflettevo sulla crisi economica e teatrale. Il teatro, tranne rari periodi (il teatro greco, il teatro elisabettiano, il melodramma) è sempre stato in crisi. Ma il teatro non può morire. Il teatro è intrinseco all’uomo. «L’uomo prende consapevolezza di sé quando si rappresenta». E allora, pensando a quei periodi – ad esempio quello del teatro medievale, durante il quale la rappresentazione si svolgeva sul sagrato delle chiese – ho deciso che gli ultimi anni della mia vita sarebbero stati dedicati agli altri, insegnando ai giovani e soprattutto agendo in modo che il pubblico possa accedere gratuitamente ai miei spettacoli. Non dico che il pubblico debba essere pagato come sembra avvenisse ad Atene, ma perlomeno assistere gratis.
Ho trovato un gruppo di persone come me innamorate del teatro, del pubblico, della vita, pazze come me, fra cui il Preside Iachello, ed ecco nato, nel 2009, INGRESSO LIBERO.
In fondo si tratta sempre di servizio pubblico, come ci hanno insegnato i nostri maestri, e si tratta semplicemente di supplire alle mancanze dello stato inadempiente.
E, soprattutto, questo germe di Teatro universitario d’Ateneo, che è lo scopo ultimo del progetto per il quale Enrico e io ci battiamo, ha svolto in questi anni, e svolgerà sempre più in futuro, una importante funzione “sociale”. Il nostro Teatro universitario, sin da questa prima fase di sperimentazione, ha già proposto dall’anno corso e continua a proporre i laboratori OTU – Officine teatrali universitarie, gratuiti per tutti gli studenti dell’Ateneo e aperti a tutta la città, agli amanti di teatro, agli specialisti, ai curiosi, agli animi desiderosi di nuove esperienze e conoscenze. In tal senso il nostro Teatro universitario, work in progress, è già un importantissimo spazio di aggregazione e incontro.
Da tre anni il nostro modello agisce in controtendenza. Aggrega e non isola, creando una comunità di ideali e, si perdoni l’anacronismo, realizzando una grande famiglia d’arte e affetti. Tesorizza i talenti e non li spreca. Fa crescere e maturare il rigore del pensiero. E, per essere più concreti, riapre teatri, invece che assistere alla loro chiusura, come siamo riusciti a fare, grazie all’impegno e alla determinazione di Enrico Iachello che, come me, a volte si scontra contro “il buon senso”, proiettandosi in un orizzonte di utopia, e riuscendo in insperati fatti concreti: abbiamo riaperto e reso fruibile al pubblico della città, che ci ha premiato per questa nostra sfida, affollando sempre le nostre serate, un teatro storico di Catania: il Machiavelli. Locale seminterrato di Palazzo Sangiuliano, in origine una mescita di vino, poi Teatro dell’Opera dei Pupi, con Giovanni Grasso, divenne luogo di spettacolo famoso in tutta Italia, per via della sua straordinaria compagnia, all’interno della quale apparve un attore che si chiamava Angelo Musco. La «fucina» del Machiavelli, come Martoglio definì la compagnia di Giovanni Grasso, diventa la chiave di volta del teatro siciliano, in un’Italia largamente interessata alla scena dialettale, esportando i suoi spettacoli a Roma, Milano, Firenze, Napoli.
E la nostra nuova “fucina” si colloca in un rapporto di continuità con questa grande tradizione e di innovazione per via delle scelte artistiche che opera, orientandosi ai giovani, a tematiche di attualità, proponendo un teatro d’Arte, di azione e intervento sul territorio, con spettacoli di altissimo profilo professionale, seppur realizzati senza finanziamenti, che hanno già vissuto la gloria di essere richiesti in altre città italiane (da Milano a Roma) e hanno il vanto e l’orgoglio di avere un pubblico di spettatori affezionati innumerevoli e appassionati.
In Enrico ho trovato un sodale con il quale condividere passioni e con il quale, cosa ben più importante, diffondere la “passione”: per una cultura autentica, per un’arte vera, per una formazione alta, alfine di perseguire il comune progetto, utopia di ogni epoca, di porre i germi per un rinnovamento del nostro modo di vivere ed essere al mondo.
E siamo certi, Enrico e io, che, come insegna Ipazia, grandiosa figura alla quale in questi giorni è stata dedicata un’importante iniziativa che ci ha coinvolti entrambi, attraverso tali azioni, tali determinati interventi nel nostro tempo, la storia svela il suo grande mistero: il suo essere compresenza e compenetrazione di tempi, per cui il lontano non rivive in noi come memoria ma è vivo e vive continuamente per noi, proiettandosi nel futuro in cui tutto confluisce.
E con Enrico, anch’egli grande combattente e sostenitore di ideali concreti di cambiamento, cerchiamo di guardare a un futuro migliore, agendo in questo nostro tempo, per costruirlo, nonché con la collaborazione del Dipartimento di Scienze Umanistiche, e con il supporto dell’Ateneo, che ha accolto la grande scommessa di riaprire un teatro senza un soldo di finanziamento, mantenendolo solo con donazioni e il volontario contributo del pubblico.

Lamberto Puggelli

lunedì 19 novembre 2012

La Fondazione Verga per l'Ateneo catanese


(Intervento della prof.ssa Gabriella Alfieri, Presidente del Consiglio Scientifico della Fondazione Verga)


Nel solco di alcune delle indicazioni apparse su questo blog, la Fondazione Verga può svolgere un ruolo significativo nel tentativo di porre la cultura umanistica al servizio del territorio. Importanti prospettive possono aprirsi su questo fronte: 
1) consorziare la Fondazione con la Società di Storia Patria e con altre istituzioni di ricerca correlate all’ateneo per elaborare progetti comuni nell’ambito della ricerca e della formazione (assegni di ricerca; borse di studio; attività museali e creative, ecc.);
2) potenziare il rapporto Università-Scuole per impostare un’attività formativa più incisiva e lungimirante;
3) progettare “pacchetti” di divulgazione del Verga e dei veristi siciliani come “valore” culturale da conoscere e condividere sul piano regionale, nazionale e internazionale, anche in termini di fruizione offerta ai visitatori italiani e stranieri dell’isola.

Si avverte oggi il bisogno di creare un maggior contatto, al di là del ristretto circuito accademico, con la città e col territorio. Con questo spirito si sta organizzando un percorso di letture interdisciplinari di varie opere del Verga, che coinvolgano letterati, storici, linguisti, filologi, studiosi di teatro e storici della musica per superare gli schematismi della lettura univocamente critico-stilistica legata al sapere scolastico.
Si sono progettati incontri che prevedono, per il testo di volta in volta selezionato, una lettura sceneggiata ad opera di attori o di studenti del laboratorio teatrale del Dipartimento di Studi Umanistici, e una lettura critica “moltiplicata”, condotta da almeno due specialisti di diversa appartenenza disciplinare. Tali incontri, oltre che nei tradizionali spazi accademici, si terranno in luoghi cittadini più “pubblici” quali biblioteche, fondazioni ed edifici gestiti da Enti pubblici (es. Palazzo Platamone o simili). Ai fini di un migliore coinvolgimento del pubblico si accompagnerà ogni lettura con la proiezione di testi audiovisivi selezionati e gestiti da giovani esperti del laboratorio multimediale LA.MU.S.A, allo scopo di favorire la partecipazione e l’identificazione simbolica dei destinatari, secondo le più attuali tendenze della comunicazione mediatica. Il progetto tende pertanto a portare il testo verghiano al di fuori dei tradizionali e ristretti circuiti accademici per renderlo disponibile in una lettura che, pur avvalendosi degli strumenti critici e tecnici degli specialisti, lo renda accessibile a un più vasto pubblico come oggetto d’intrattenimento educativo, supportato da proiezioni di testi multimediali.
Il successo del primo incontro (che ha avuto come oggetto la Storia di una capinera) svoltosi il 15 settembre 2012 presso il Cortile Platamone, conferma la giustezza della scelta: il cortile era stracolmo, la gente ha seguito con grande interesse, manifestando alla fine il suo apprezzamento.

Può essere questa una prima e nuova modalità di impostare il rapporto ricerca-divulgazione, incarnato nel nostro caso dall’Università di Catania e dalla Fondazione Verga, perseguendo alcuni importanti obiettivi:
  • valorizzazione e approfondimento della componente territoriale 'locale' che in Verga acquisisce innovative relazioni identitarie.
  • recupero della dimensione orale del testo attraverso la viva voce degli interpreti e il supporto di rappresentazioni audiovisive, in linea con gli attuali orientamenti della comunicazione mediatica che tende, sceneggiando testi letterari per il piccolo e il grande schermo o per la radio, a recuperare la potenzialità didascalica della recitazione.

In definitiva, sulle linee offerte da Enrico Iachello nei suoi interventi e già attuate durante la sua presidenza alla Facoltà di Lettere e Filosofia, un connubio tra Fondazione Verga e Università di Catania potrebbe conseguire efficaci risultati in diverse importanti direzioni:
  1. valorizzare Verga come risorsa del territorio e manifestazione della cangiante e dinamica identità siciliana, potenziandone tuttavia i valori universali e antropologici;
  2. ampliare e rafforzare, al di là di stereotipi e su solide basi filologico-critiche, la fruizione del patrimonio letterario e culturale dell’isola;
  3. verificare e diffondere il radicamento nei paesaggi dell’opera narrativa e teatrale per ricostruire l’effettiva distanza tra realtà storica e sua rappresentazione letteraria;
  4. accrescere il richiamo del territorio come patrimonio di valori trasmessi e attuali che la testualità verghiana racchiude e comunica.
  5. puntare, sulla base dei progetti prima accennati, ad attrarre risorse private: una stagione di attività culturale verghiana così impostata, per fare un esempio, potrebbe essere finanziata dall'associazione degli albergatori di Catania o da Confcommercio? Queste scommesse, ormai, diventano urgenti. Investire in cultura per lo sviluppo del territorio.

Gabriella Alfieri



mercoledì 14 novembre 2012

Non avveleniamo il nostro confronto accademico

Mi trovo di nuovo costretto (con sofferenza a dire il vero, perché avrei ben altro di cui occuparmi, come ad esempio – oltre alla normale attività didattico-scientifica – il definire ulteriormente le proposte programmatiche per la mia candidatura al Rettorato) a intervenire per rispondere agli attacchi di un sigla anonima (caro collega Giuffrida, non basta la tua firma a dare identità a un gruppo che si ostina in una esistenza fantasmatica, perché mai formalmente costituitosi, e quindi privo di organi democraticamente eletti e di rappresentanti designati). «La Sicilia» del 14.11.2012 pubblica il resoconto, ampiamente virgolettato, di un comunicato del sedicente “Coordinamento unico d’Ateneo”. Per carità, la stampa fa il suo lavoro, ma facciamo appello affinché si tenga nel debito conto il fatto che – in assenza di qualsiasi forma organizzativa riconosciuta dell’anonimo coordinamento – si tratta soltanto di un comunicato proveniente dal collega Giuffrida, unico firmatario dello stesso. Ovviamente, ciascuno può legittimamente dissentire ed esprimere le sue posizioni, ma qui siamo in presenza di un tenace tentativo di avvelenare il confronto in Ateneo, nel momento delicato della scelta del nuovo rettore, mutuando comportamenti dalla peggiore politica, e cioè puntando a delegittimare l’avversario, per spostare il terreno dal confronto sulle cose da fare agli attacchi velenosi e personali. La classe politica del Paese sta finalmente cercando (sia pure faticosamente) di uscire da questo clima; qualcuno in Ateneo ancora non se n’è accorto e resta cristallizzato in una posa che appare però grottesca, quasi oscena, tanto è consunta e denudata nella sua pretestuosità. Che senso ha dissotterrare continuamente temi su cui l’Ateneo ha risposto da tempo e analiticamente in tutte le sedi (financo attraverso una puntuale nota di risposta ad interrogazione parlamentare)? Che senso ha continuare a parlare di presunte irregolarità nella nomina del Direttore generale o di attribuzioni allo stesso di qualifiche dirigenziali di prima fascia, di cui non ha mai goduto, né avrebbe potuto mai godere, proprio perché escluse dai regolamenti vigenti nel nostro Ateneo? E ancora, che senso ha insistere su presunti illegittimi affidamenti di incarichi di collaudo, definitivamente fugati dal Rettore in una pubblica assemblea e poi in note ufficiali (a disposizione di tutta la comunità) trasmesse agli organi competenti? Mi si accusa di dimenticare questi aspetti. Mi permetto di osservare che è il collega Giuffrida (e i suoi ‘anonimi’) a dimenticare che su questi temi ho già preso posizione (proprio sulle colonne de «La Sicilia», e non in segreti conciliaboli, firmandomi col mio nome e cognome, senza alcuna etichetta a coprirlo), diversi mesi addietro e in varie occasioni.
Cosa altrettanto scorretta è il rimproverarmi di dimenticare i drammi dei lavoratori precari. Sedendo da tempo negli organi di Ateneo (prima, il Senato accademico, ora il Consiglio di amministrazione) ho attivamente dato il mio contributo affinché il nostro Ateneo, primo in Italia, oserei dire unico, avviasse le procedure per la loro stabilizzazione. Come ignorare il fatto che il Rettore ha avanzato una precisa proposta per consolidare questo percorso, destinandovi il 20-30% dei 13,76 punti organico appena assegnati dal Ministero? Non è di questa proposta che dovremmo parlare tutti insieme in Ateneo? C’è accordo su tale proposta o dissenso, magari di chi proporrebbe di destinare alla docenza tutti i punti organico disponibili, per mantenere accesi alcuni corsi di studio messi in difficoltà dai numerosi pensionamenti? Per parte mia, con l’autorevolezza di consigliere di amministrazione, dopo ampio ragionamento con lo stesso Rettore, ho contribuito all’elaborazione della proposta rettorale. Mi sia consentito, senza sollevare polemiche: sono rimasto stupito (e l’ho detto in Consiglio di amministrazione) del fatto che i sindacati abbiano individuato come priorità le cosiddette ‘linee guida’ in materia di procedimenti disciplinari, anteponendole al dramma dei lavoratori che, a breve, rischiano di essere licenziati se non si individuano nuovi percorsi occupazionali tramite la Prefettura. Mi riferisco appunto ai lavoratori “ex-Coem” citati da Giuffrida, ma la cosa riguarda anche altri precari. E come si può, inoltre, citare il caso del personale del Policlinico universitario senza dire che avere posto tale personale a carico del bilancio regionale (senza danni di alcun genere per i lavoratori interessati) libera risorse proprio per stabilizzare i precari dell’Ateneo? È accettabile tutto ciò?
Non mi stancherò mai di fare appello al buon senso di tutti per evitare di denigrare il nostro Ateneo (di questo in sostanza si tratta) attraverso polemiche strumentali e rancorose. Un Ateneo, si badi, che ha guadagnato in questi anni posizioni di merito nel confronto nazionale e internazionale, salvaguardando al tempo stesso – a differenza della stragrande maggioranza delle altre università – l’equilibrio dei propri bilanci. Lo ribadisco: ho proposto la mia candidatura a rettore per unire la comunità universitaria e lavoro per un rasserenamento del confronto. Non mi farò trascinare nella rissa né da un gruppo anonimo, né dal collega Giuffrida, a cui sommessamente suggerisco di pensare piuttosto a dare qualche consiglio su come migliorare la produttività scientifica dei docenti dell’Ateneo, a partire dalla sua, che non mi pare per niente lusinghiera. I suoi attacchi non gli fanno ‘titolo’, né politico, né tanto meno scientifico.

Enrico Iachello

mercoledì 7 novembre 2012

Non è più tempo di dinosauri!


Intervento di Giulio Fortini, Rappresentante del personale tecnico-amministrativo nel Senato accademico dell’Università di Catania




Come ha già avuto modo di sottolineare il Rettore, lascia veramente perplessi il recente intervento dei signori Distefano, Lanzafame, Gatto e Nicotra, che giungono a chiedere – invero 'sopra le righe' – le dimissioni di ben diciotto senatori accademici (anch'io fra di loro), 'colpevoli' di avere votato una mozione con cui semplicemente invitano il Rettore in carica – essendosi ormai aperto l'iter con cui la comunità universitaria sceglierà, fra pochi mesi, il nuovo Rettore per il prossimo sessennio – a lasciare massimo spazio al libero dibattito fra i candidati alla carica rettorale, evitando, in questi pochi mesi, di assumere (il Rettore e gli organi di Ateneo) decisioni 'definitive' su tematiche che sono oggetto del dibattito in corso. Un'indicazione democratica, se vogliamo banale e ovvia, che stranamente trova ostili i quattro sindacalisti di cui sopra.

Ma c'è, fra i quattro sindacalisti, chi ha voluto proprio strafare. Al sig. Gatto non bastano le dimissioni dei diciotto senatori. Si vuole distinguere; e pretende, da solo, di spararla ancora più grossa. Evidentemente, mal sopporta che la competizione elettorale si svolga attraverso un sereno e costruttivo confronto fra i candidati rettore. Mal sopporta che tale dibattito non lo veda più fra i protagonisti e non gli piace chiedersi – neppure per un istante – se ciò derivi, per caso, da una sua perdita di reale rappresentatività all'interno dell'Ateneo (di cui è ex dipendente, ora in pensione), derivante dal modo in cui ha svolto, negli anni, il suo ruolo di sindacalista. Eppure sono veramente tanti i colleghi che mi segnalano quanto poco il sig. Gatto abbia curato gli interessi generali dei lavoratori del nostro Ateneo e quanto, invece, si occupi e si sia occupato di altro.
Immagina, allora, il sig. Gatto – sfruttando il momento elettorale, diciamolo pure, 'a orologeria' – di potere riguadagnare il terreno che ha, per sue responsabilità, definitivamente perduto, scagliandosi, a modo suo, con grida mistificatorie e con basse insinuazioni, del tutto prive di fondamento (che lo stesso sig. Gatto non può non sapere quanto siano prive di qualsiasi fondamento), contro il Direttore generale, apparentemente, ma in effetti contro i circa cento fra senatori accademici e consiglieri di amministrazione dell'Ateneo (ancora io fra di loro), componenti degli organi in carica e di quelli del precedente quadriennio, che – con voto sempre unanime – hanno conferito al prof. Maggio l'incarico di Direttore amministrativo, nel 2009, e di Direttore generale, nel 2012.

Eppure, dal 1.11.2008 al 31.10.2010, il sig. Gatto sedeva in Senato accademico. Come mai si accorge solo adesso, avendo sempre taciuto prima, che i senatori e i consiglieri di allora (compresi i rappresentanti del personale tecnico-amministrativo, alcuni dei quali espressi dalla stessa sigla sindacale di cui il sig. Gatto continua a essere rappresentante, malgrado il suo pensionamento risalga al 2010) stavano commettendo chissà quale illegittimità nel conferire l'incarico di Direttore amministrativo al prof. Maggio? Problemi del sig. Gatto, i cui 'tempi di reazione' risultano invero assai strani. Lasciatemelo dire: grossa, sig. Gatto!

Mentre l'Ateneo ha già dato mandato ai suoi legali di approntare ogni opportuna azione nei confronti del sig. Gatto e a tutela degli interessi dell'Ateneo, e mentre anch'io mi riservo di tutelarmi personalmente nei modi più opportuni, mi permetto di dare all'ex collega Gatto un consiglio, senza pretendere in alcun modo che lui voglia accettarlo. Lo faccio sommessamente, a titolo personale e in rappresentanza dei tanti colleghi che, con il loro voto, hanno voluto che io sieda in Senato accademico.

Caro sig. Gatto, è vero che il nostro Paese, e con esso il nostro Ateneo, ha bisogno di riguadagnare una dimensione 'collettiva', ha bisogno – nell'affrontare la fase di difficoltà in cui ci troviamo tutti – di partiti politici e di forze sindacali, che siano però 'nuovi', riqualificati, veramente rappresentativi della gente, moralmente ineccepibili. Di forze sindacali, in particolare, che la smettano di invadere altri terreni, per occuparsi – interamente e onestamente – degli interessi dei lavoratori, primi fra tutti i tanti precari e coloro che sono in cerca di occupazione.
Il nostro Paese, e con esso il nostro Ateneo, non hanno più bisogno dei nostalgici e dei vecchi riti 'del tempo che fu', che tanti guai ci hanno lasciato in eredità, tempi in cui l'appartenenza alla 'casta' ha assicurato a pochi individui prebende e privilegi, posti e promozioni, del tutto immeritati e pagati con denari sottratti alla gente onesta e ai lavoratori meritevoli.
La nostra amministrazione lo ha ben compreso e ha imboccato con convinzione – sotto la guida del Rettore Recca – la strada del cambiamento, del rispetto delle regole, del merito, dell'innovazione: un cammino solcato – con tanta strada ancora da percorrere, con tante scelte da compiere quotidianamente – nella direzione della qualità, della professionalità, della valorizzazione di chi lavora, della serenità, anche occupazionale e retributiva, della nostra comunità universitaria.
Adesso rifletta anche lei, sig. Gatto: non è più tempo di dinosauri!

martedì 6 novembre 2012

Nessun "caso Maggio"

(Articolo pubblicato su «La Sicilia» del 6 novembre 2012)


A pochi mesi (poco più di tre) dalle elezioni per il nuovo rettore del nostro Ateneo, mi trovo costretto ancora una volta a confrontarmi con un tentativo di avvelenare la competizione che ho scelto invece di affrontare puntando sul rasserenamento della vita dell’Ateneo (dopo le polemiche insorte attorno allo statuto) e sul suo auspicabile e invocato ricompattamento per affrontare le difficili prove che ci attendono. Ancora una volta, con amarezza, debbo notare che persistono, in frange largamente minoritarie (come dimostrano, da ultimo, gli esiti delle elezioni studentesche e, poco prima, quelle per il Senato accademico), tentativi di esasperazione del confronto. Non sarei però reintervenuto se non avessi notato in quest’ultimo episodio un atteggiamento a mio giudizio non corrispondente al ‘diritto di cronaca’. Mi riferisco al modo in cui il giornale «La Sicilia» presenta la vicenda. Con ampio risalto nel titolo in prima pagina si parla dell’‘esplosione’ di un ‘caso Maggio’ che vedrebbe contrapposti ‘sindacati e Ateneo’. Non è vero: non c’è un ‘caso Maggio’, né c’è una contrapposizione con i sindacati. Nei fatti c’è la ‘denuncia’ da parte del signor Gatto, segretario della UIL Rua, di presunte irregolarità nella nomina del Direttore generale dell’Ateneo. Gatto non rappresenta, salvo dichiarazioni esplicite in tal senso, tutti i sindacati; si è reso protagonista, e non da ora, di un virulento attacco nei confronti del Rettore e dell’amministrazione dell’Ateneo e si è caratterizzato anche per toni aggressivi nei miei confronti a proposito del Policlinico universitario sul quale (legittimamente) abbiamo divergenza di vedute. Perché l’autore dell’articolo scrive di ‘sindacati’? Perché il giornale dà così ampio risalto in prima pagina alla vicenda? Ritengo di poter legittimamente rivolgere queste domande a un giornale con cui ho collaborato, del quale ho sempre rivendicato il ruolo positivo nella nostra città, di contro ad attacchi che miravano a delegittimarlo. Lo dico non perché ciò mi conferisca chissà quale autorevolezza, ma perché ciò rende politicamente corretti (credo) il mio stupore e il mio dissenso rispetto a un atteggiamento che finisce con lo sponsorizzare posizioni faziose, conferendo alle stesse, sorprendentemente, l’onore della prima pagina. Di ‘caso Maggio’ si sarebbe potuto parlare se in seno all’Ateneo un ampio ventaglio di forze avesse sollevato il problema o se gli organi di controllo a ciò deputati avessero posto la questione. Qui siamo in presenza di un signore (già dipendente dell’Ateneo), contraddistintosi per posizioni violentemente polemiche, che attacca l’Ateneo sulla nomina del Direttore generale (attacca lAteneo: la nomina è stata fatta dal Consiglio di amministrazionecon doppia votazione, entrambe allunanimitàdopo il placet del Senato accademicoanche in questo caso con doppia votazione: allunanimità, da parte del Senato uscente; con una sola astensione, da parte del nuovo Senato accademico). La reale portata della questione, del resto, si evince da quanto lo stesso Gatto scrive: la nomina del dott. Maggio è «inopportuna… si fonda su presupposti altrettanto inopportuni, il cui controllo di legittimità si demanda, laddove fosse ritenuto, alle Autorità in indirizzo» (cioè la Procura della Repubblica e la Corte dei Conti, a cui Gatto indirizza la missiva). Di quale caso parliamo, se lo stesso Gatto con queste circonlocuzioni invoca le Autorità ‘qualora lo ritengano opportuno’? Più correttamente in altre testate si dà conto della dinamica della vicenda, e duole dirlo.
Non entrerò nel merito delle accuse di Gatto, lo ha fatto il Rettore, a cui in primo luogo compete farlo, anche se, quale Consigliere di amministrazione, rivendico la legittimità del mio operato e del Consiglio di cui faccio parte, riservandomi di tutelarmi nei modi più opportuni.
Qui mi preme solo stigmatizzare la gravità di un atteggiamento che punta ad avvitare in polemiche pretestuose il dibattito sul futuro dell’Ateneo. Di questo stiamo parlando, alla vigilia ormai dell’elezione del nuovo rettore, e invito gli altri candidati a esprimersi in modo altrettanto sereno e chiaro contro simili atteggiamenti. Occorre ‘denunciare’ e isolare quanti ancora si accaniscono in un atteggiamento sterile che impedisce il confronto sulle proposte e sui progetti per il nostro Ateneo nei prossimi sei anni. Vogliamo ancora sfinirci in polemiche inutili? O vogliamo confrontarci sul da farsi in una situazione complessivamente drammatica? Non sarei intervenuto, credetemi, se non mi premesse, al di dellesito, laqualitàdella competizione che mi trova direttamente coinvolto in prima persona: la qualità delle proposte che si confrontano, non i veleni o le insinuazioni volgari.

lunedì 5 novembre 2012

Riflessioni sul futuro dell'Università


Intervento del prof. Giuseppe Ronsisvalle, componente del Nucleo di Valutazione dell’Ateneo



L’intervento del collega Ronsisvalle, che condivido pienamente, mi pare importante per entrare nel vivo della costruzione del progetto/programma per l’Ateneo dei prossimi anni. Lo ringrazio per il contributo e mi auguro che si apra un dibattito ricco di proposte che mettano a tacere inutili polemiche e faziosità che non servono certo alla qualità della nostra competizione per il Rettorato.

Di seguito l’intervento del collega Ronsisvalle.



Riflessioni sul ruolo delle università
La continua riduzione della forza docente di ruolo nelle università italiane avviene senza che siano stati attivati meccanismi di arruolamento/progressione basati su criteri e requisiti stabili nel tempo e ben definiti.

L’ultimo e recente allarme lanciato dalla CRUI per segnalare il continuo ed inarrestabile decrescere delle risorse pubbliche appare ancora una volta un inutile e rituale segno di impotenza e, al tempo stesso, dell’incapacità di identificare e proporre strategie alternative di reperimento di risorse.

La riforma, cosiddetta Gelmini, e la sua rapida applicazione stanno avendo un impatto drammatico anche sul docente/ricercatore più motivato che, avendo perso le facoltà come punto di riferimento, non sa più come operare nello svolgimento di ruoli fondamentali di governo dell’offerta formativa, quali la presidenza di CdL, la direzione di Scuole di Specializzazione, di Master o di coordinamento dei Dottorati di Ricerca.

La ricerca, che la crisi economica sta praticamente rendendo impossibile nelle università, persino nei settori più innovativi, avviene con sempre minori risorse e indefinite strategie.

Cosa fare?

Le università e i docenti universitari devono in tempi brevissimi trovare il modo di passare, utilizzando le professionalità e le competenze presenti allinterno delle loro strutture, da un ruolo passivo ad un ruolo attivo nell’affrontare la crisi economica e i cambiamenti.

Come?

Le università italiane hanno eliminato le facoltà, rinforzando enormemente la struttura centrale di governo degli atenei. La grande diversificazione di strategie e mission adottate dai diversi atenei, più per motivi ideologici dei rettori e dei loro organi di governo, non deve far tuttavia pensare ad una situazione stabile e duratura, in grado di rispondere alle sfide imposte da tempi di cambiamento continuo.

Al di là dei rispettivi particolari interessi di ogni docente (o gruppo di docenti) e dell’inevitabile conseguente desiderio di protezione di specificità, si assisterà a continui riallineamenti, almeno dell’organizzazione complessiva del sistema università. Tali riallineamenti dovranno inevitabilmente essere basati su un ruolo più attivo e propositivo dei dipartimenti nella definizione delle strategie di Ateneo.

Le università italiane saranno dopo la riforma a gestione più o meno centralizzata, in funzione delle scelte fatte con la scrittura degli statuti. Ogni ateneo italiano vedrà una combinazione diversa del peso politico di gestione centrale e delle strutture periferiche. È facile prevedere che, in maniera a-strategica, si attiveranno ben presto forze che riterranno di risolvere i problemi crescenti cercando di modificare l’equilibrio venutosi a creare. Poiché il valore, le qualità e le competenze degli uomini di governo inevitabilmente differiscono da momento a momento, ciò produrrà un totale disallineamento tra atenei, anche della stessa regione. Nello stesso istante, mentre un ateneo lotterà per maggiormente decentralizzare, l’ateneo vicino, al contrario, cercherà di risolvere i propri guai con un accentramento ulteriore.

La trasformazione del sistema gestionale, imposto in buona parte dalla riforma, ha introdotto nuove figure manageriali e una nuova filosofia della gestione, spazzando via quella precedente, basata esclusivamente sui tradizionali valori accademici. Questo sta costituendo ulteriore fattore di grande disorientamento e di forte dissenso. La possibilità di accettazione del cambiamento da parte dei docenti, già resa difficile dall’attacco continuo (con motivazioni a volte giuste, altre strumentali) al prestigio accademico, da parte di diversi soggetti della società civile, è arrivata ad un livello di soglia preoccupante. Alla lunga i processi di valutazione della qualità e la maggiore trasparenza del sistema forse risolveranno questo problema, ridando legittimità e prestigio all’accademia. Al momento, si vive il passaggio con senso di grande frustrazione.

Poiché i valori della tradizionale cultura accademica non devono e non possono essere, da un giorno all’altro, eliminati, occorre trovare il modo di ri-orientarli, adattandoli, con una operazione che andrà condotta con ampio e generalizzato consenso, in modo da finalizzarli alla trasformazione.

I dipartimenti devono avere un ruolo centrale in questo processo, anche al fine di compensare un eccesso di managerialismo, che rischia, se fine a sé stesso, di rendere la linea di comando troppo TOP-DOWN.

Una struttura di governance illuminata, ma molto centralizzata, non potrà d’ora in poi limitarsi a dire: «Non si è in grado di reperire risorse alternative a quelle pubbliche, dato il momento di grave crisi economica che attraversa il Paese», ma dovrà anche trovare il modo di coinvolgere le strutture decentrate e i dipartimenti in un processo di ricerca di soluzioni che, coinvolgendoli, li renda protagonisti, e arrivi a ridefinire la mission e la vision dell’intero Ateneo, la sua collocazione nel territorio, nella Regione e nella dinamica nazionale ed internazionale di evoluzione delle strutture di Higher Education.

In altre parole, la futura governance dell’Ateneo non potrà proporre di aspettare che ritornino a crescere le risorse pubbliche e al contempo proporre riduzioni drastiche e il ridimensionamento drammatico dell’offerta formativa di I°, II° e III° livello, senza che vengano preliminarmente analizzate e valutate, in sinergia con le strutture periferiche, le esigenze di crescita del territorio, l’effetto sulla capacità dei giovani di accedere alla formazione di terzo livello e alle professioni più avanzate e la possibilità di contribuire allo sviluppo di attività di impresa in settori ad alta capacità di innovazione e/o a tecnologia avanzata.

NON può, senza prima aver fatto un tentativo di analizzare e affrontare il problema della loro Qualità, senza valutare i diversi scenari e le loro implicazioni, senza ricorrere ad un forte processo di coinvolgimento delle strutture dipartimentali e dei centri di servizio dell’Ateneo.

Tale processo di responsabilizzazione/coinvolgimento porterà inevitabilmente i dipartimenti ad agire con un alto, crescente, senso di responsabilità e grado di autonomia, anche al di fuori dei tradizionali confini universitari, legandosi a settori e organizzazioni locali e nazionali dell’industria e del mondo del lavoro. Questo processo avverrà e dovrà avvenire, pena il fallimento, in maniera concertata, sinergica e con una strategia condivisa tra tutti i dipartimenti della stessa area culturale, scientifica e tecnologica e dovrà essere prodromico a forti connessioni con il mercato del lavoro, onde evitare disparità di opportunità di accesso e squilibri sociali.

L’aumento di “peso” delle strutture dipartimentali potrà avere differenti forme, sia dal punto di vista gestionale (gestione di contratti di ricerca e di formazione, consulenze etc.), che della finalizzazione strategica delle attività di ricerca e del loro legame con la formazione. Questo porterà i dipartimenti a creare servizi collegati al mondo esterno, più o meno autonomi nella loro gestione, di natura prevalentemente consortile, e finalizzati a risolvere specifiche problematiche del mondo del lavoro e di impresa. I dipartimenti impareranno così a conoscere, con la pratica di ogni giorno, le reali esigenze del territorio e potranno adattare meglio l’offerta formativa, aumentandone la capacità di generare occupazione. Si svilupperanno nuove competenze e si aiuterà al contempo il territorio in una attività di continuo up-grading delle competenze di tutte le categorie sociali.

L’Università dovrebbe avere, alla fine del processo, e grazie al contributo decisivo dei dipartimenti, il vantaggio di vedere accresciuto il suo ruolo di servizio al territorio, ma anche notevoli risorse economiche aggiuntive che le consentiranno di competere con le università private e con le università concorrenti nella Regione.

Un processo lungo, non facile, che apre ad un nuovo modo di dialogare con tutti i soggetti presenti nel territorio, enti locali, imprese, mondo del lavoro, associazioni e volontariato, scuola, formazione professionale etc.

Vale la pena di iniziare a parlarne.


Giuseppe Ronsisvalle

Catania, 5 novembre 2012

giovedì 1 novembre 2012

Lettera aperta al Presidente della Regione



Signor Presidente,
nel congratularmi con lei per la vittoria ottenuta, le auguro di cuore (le difficoltà sono evidenti e drammatiche) di riuscire ad affermare quel cambiamento che in Sicilia tutti auspichiamo.
In questo promesso e invocato cambiamento mi permetto di avanzare alcune proposte che, durante la campagna elettorale, avevo sottoposto nel mio blog ai candidati alla Presidenza della Regione. Le rivolgo adesso a lei, che il voto ha designato democraticamente alla guida di una istituzione che appare però bisognosa di ricucire – dopo una lunga storia di malgoverno – il rapporto con i siciliani (penso al record storico di astensioni, meno della metà della popolazione è andata a votare).
Lei ha parlato di cambiamento e di rinascimento.
Da candidato alla carica di Rettore dell’Ateneo di Catania mi permetto allora di rivolgerle, fiducioso, alcune richieste che mi paiono urgenti per l’Università siciliana e che, a mio avviso, consentirebbero all’istituzione universitaria di dare un contributo efficace per provare ad aiutare la nostra Regione ad affrontare la grave crisi che il Paese tutto attraversa.



Le elenco schematicamente:

a. Diritto allo studio. Un’efficace politica passa attraverso la ridefinizione e il potenziamento dell’ERSU, con un investimento in alloggi e mense, attraverso progetti che prevedano anche la partecipazione di privati che possano utilizzare queste strutture nei periodi ‘vuoti’ (estate, festività) anche per ricezione turistico-culturale.

b. Medicina universitaria e sistema sanitario pubblico. Il sistema sanitario è stato ed è vittima privilegiata degli appetiti politici, spesso famelici; da tale voracità non è stata risparmiata la medicina universitaria, anzi recentemente, a Catania, a causa di una fusione tra le aziende a dir poco precipitosa, la medicina universitaria è diventata un ‘boccone prelibato’, e sin troppo tenero, della politica. Occorre allora ribadire il primato della mission della medicina universitaria, che non può essere solo assistenziale, ma orientata, in primo luogo, alla didattica, alla formazione e alla ricerca. Nella struttura di governance dell’azienda Policlinico, la Scuola di Medicina deve riottenere il ruolo che le compete e che le è stato di fatto sottratto con un vero colpo di mano della politica e della burocrazia regionale. Il primo passo per restituire ciò che è stato indebitamente sottratto, non solo alla Scuola di Medicina, ma al sistema universitario nel suo complesso, è il riconoscimento, nel nuovo protocollo che si andrà a stipulare, di un ruolo fondamentale e decisivo (non puramente formale) dell’Università, e dei suoi organi di governo e di rappresentanza, nella selezione del management di vertice dell’azienda di riferimento. Analogamente, i vari dipartimenti universitari, in base alle competenze di ciascuno, potrebbero fornire un utile contributo per l’individuazione e per la selezione dei manager degli enti regionali nei casi in cui siano previste competenze e qualificazioni non strettamente ‘politiche’, in modo da pervenire alla definizione di albi di personale qualificato a cui attingere. Sarebbe un passo indietro della politica e un passo in avanti delle istituzioni culturali e tecniche, i cui vertici ‘tecnici’ non verrebbero più etichettati come appartenenti a questo o a quel politico.

c. Formazione e master. Definire con l’Università, le imprese e i sindacati percorsi di formazione finanziati dalla Regione in base alle esigenze del mercato del lavoro. Affidare all’Università la selezione delle proposte progettuali e il monitoraggio dell’attività didattica.
Non può essere la Regione a effettuare la ‘selezione’ delle proposte di master universitari; i finanziamenti vanno assegnati alle università, affinché siano esse a decidere quali master attivare, tenendo conto prioritariamente degli sbocchi occupazionali offerti dal mercato del lavoro, delle richieste di formazione provenienti dalla base, dell’effettiva possibilità di svolgere stage professionalizzanti.

d. Beni culturali. Individuazione del settore dei Beni culturali (con particolare attenzione all’urbanistica, al recupero architettonico e all’archeologia) quale settore strategico per lo sviluppo dell’Isola; ciò anche attraverso l’incentivazione di iniziative in sinergia pubblico/privato, che riconoscano all’Università il ruolo, che le compete, di leadership scientifica.



Signor Presidente, sono consapevole che in questa fase iniziale del suo insediamento le priorità possono apparire altre. Sono però convinto che non ci sia molto tempo per provare ad avviare una strategia nuova per la nostra Regione. La prego solo di considerare le mie proposte come un’offerta di collaborazione a lei e al Paese, per far sì che l’Università giochi il ruolo che può e deve giocare per far fronte a una crisi ormai drammatica. In altri termini la invito a considerare l’Università come una risorsa significativa nella sua strategia di trasformazione dell’istituto regionale.
Confidando nella sua attenzione, le rinnovo il mio sentito augurio di buon lavoro.

Enrico Iachello