lunedì 5 novembre 2012

Riflessioni sul futuro dell'Università


Intervento del prof. Giuseppe Ronsisvalle, componente del Nucleo di Valutazione dell’Ateneo



L’intervento del collega Ronsisvalle, che condivido pienamente, mi pare importante per entrare nel vivo della costruzione del progetto/programma per l’Ateneo dei prossimi anni. Lo ringrazio per il contributo e mi auguro che si apra un dibattito ricco di proposte che mettano a tacere inutili polemiche e faziosità che non servono certo alla qualità della nostra competizione per il Rettorato.

Di seguito l’intervento del collega Ronsisvalle.



Riflessioni sul ruolo delle università
La continua riduzione della forza docente di ruolo nelle università italiane avviene senza che siano stati attivati meccanismi di arruolamento/progressione basati su criteri e requisiti stabili nel tempo e ben definiti.

L’ultimo e recente allarme lanciato dalla CRUI per segnalare il continuo ed inarrestabile decrescere delle risorse pubbliche appare ancora una volta un inutile e rituale segno di impotenza e, al tempo stesso, dell’incapacità di identificare e proporre strategie alternative di reperimento di risorse.

La riforma, cosiddetta Gelmini, e la sua rapida applicazione stanno avendo un impatto drammatico anche sul docente/ricercatore più motivato che, avendo perso le facoltà come punto di riferimento, non sa più come operare nello svolgimento di ruoli fondamentali di governo dell’offerta formativa, quali la presidenza di CdL, la direzione di Scuole di Specializzazione, di Master o di coordinamento dei Dottorati di Ricerca.

La ricerca, che la crisi economica sta praticamente rendendo impossibile nelle università, persino nei settori più innovativi, avviene con sempre minori risorse e indefinite strategie.

Cosa fare?

Le università e i docenti universitari devono in tempi brevissimi trovare il modo di passare, utilizzando le professionalità e le competenze presenti allinterno delle loro strutture, da un ruolo passivo ad un ruolo attivo nell’affrontare la crisi economica e i cambiamenti.

Come?

Le università italiane hanno eliminato le facoltà, rinforzando enormemente la struttura centrale di governo degli atenei. La grande diversificazione di strategie e mission adottate dai diversi atenei, più per motivi ideologici dei rettori e dei loro organi di governo, non deve far tuttavia pensare ad una situazione stabile e duratura, in grado di rispondere alle sfide imposte da tempi di cambiamento continuo.

Al di là dei rispettivi particolari interessi di ogni docente (o gruppo di docenti) e dell’inevitabile conseguente desiderio di protezione di specificità, si assisterà a continui riallineamenti, almeno dell’organizzazione complessiva del sistema università. Tali riallineamenti dovranno inevitabilmente essere basati su un ruolo più attivo e propositivo dei dipartimenti nella definizione delle strategie di Ateneo.

Le università italiane saranno dopo la riforma a gestione più o meno centralizzata, in funzione delle scelte fatte con la scrittura degli statuti. Ogni ateneo italiano vedrà una combinazione diversa del peso politico di gestione centrale e delle strutture periferiche. È facile prevedere che, in maniera a-strategica, si attiveranno ben presto forze che riterranno di risolvere i problemi crescenti cercando di modificare l’equilibrio venutosi a creare. Poiché il valore, le qualità e le competenze degli uomini di governo inevitabilmente differiscono da momento a momento, ciò produrrà un totale disallineamento tra atenei, anche della stessa regione. Nello stesso istante, mentre un ateneo lotterà per maggiormente decentralizzare, l’ateneo vicino, al contrario, cercherà di risolvere i propri guai con un accentramento ulteriore.

La trasformazione del sistema gestionale, imposto in buona parte dalla riforma, ha introdotto nuove figure manageriali e una nuova filosofia della gestione, spazzando via quella precedente, basata esclusivamente sui tradizionali valori accademici. Questo sta costituendo ulteriore fattore di grande disorientamento e di forte dissenso. La possibilità di accettazione del cambiamento da parte dei docenti, già resa difficile dall’attacco continuo (con motivazioni a volte giuste, altre strumentali) al prestigio accademico, da parte di diversi soggetti della società civile, è arrivata ad un livello di soglia preoccupante. Alla lunga i processi di valutazione della qualità e la maggiore trasparenza del sistema forse risolveranno questo problema, ridando legittimità e prestigio all’accademia. Al momento, si vive il passaggio con senso di grande frustrazione.

Poiché i valori della tradizionale cultura accademica non devono e non possono essere, da un giorno all’altro, eliminati, occorre trovare il modo di ri-orientarli, adattandoli, con una operazione che andrà condotta con ampio e generalizzato consenso, in modo da finalizzarli alla trasformazione.

I dipartimenti devono avere un ruolo centrale in questo processo, anche al fine di compensare un eccesso di managerialismo, che rischia, se fine a sé stesso, di rendere la linea di comando troppo TOP-DOWN.

Una struttura di governance illuminata, ma molto centralizzata, non potrà d’ora in poi limitarsi a dire: «Non si è in grado di reperire risorse alternative a quelle pubbliche, dato il momento di grave crisi economica che attraversa il Paese», ma dovrà anche trovare il modo di coinvolgere le strutture decentrate e i dipartimenti in un processo di ricerca di soluzioni che, coinvolgendoli, li renda protagonisti, e arrivi a ridefinire la mission e la vision dell’intero Ateneo, la sua collocazione nel territorio, nella Regione e nella dinamica nazionale ed internazionale di evoluzione delle strutture di Higher Education.

In altre parole, la futura governance dell’Ateneo non potrà proporre di aspettare che ritornino a crescere le risorse pubbliche e al contempo proporre riduzioni drastiche e il ridimensionamento drammatico dell’offerta formativa di I°, II° e III° livello, senza che vengano preliminarmente analizzate e valutate, in sinergia con le strutture periferiche, le esigenze di crescita del territorio, l’effetto sulla capacità dei giovani di accedere alla formazione di terzo livello e alle professioni più avanzate e la possibilità di contribuire allo sviluppo di attività di impresa in settori ad alta capacità di innovazione e/o a tecnologia avanzata.

NON può, senza prima aver fatto un tentativo di analizzare e affrontare il problema della loro Qualità, senza valutare i diversi scenari e le loro implicazioni, senza ricorrere ad un forte processo di coinvolgimento delle strutture dipartimentali e dei centri di servizio dell’Ateneo.

Tale processo di responsabilizzazione/coinvolgimento porterà inevitabilmente i dipartimenti ad agire con un alto, crescente, senso di responsabilità e grado di autonomia, anche al di fuori dei tradizionali confini universitari, legandosi a settori e organizzazioni locali e nazionali dell’industria e del mondo del lavoro. Questo processo avverrà e dovrà avvenire, pena il fallimento, in maniera concertata, sinergica e con una strategia condivisa tra tutti i dipartimenti della stessa area culturale, scientifica e tecnologica e dovrà essere prodromico a forti connessioni con il mercato del lavoro, onde evitare disparità di opportunità di accesso e squilibri sociali.

L’aumento di “peso” delle strutture dipartimentali potrà avere differenti forme, sia dal punto di vista gestionale (gestione di contratti di ricerca e di formazione, consulenze etc.), che della finalizzazione strategica delle attività di ricerca e del loro legame con la formazione. Questo porterà i dipartimenti a creare servizi collegati al mondo esterno, più o meno autonomi nella loro gestione, di natura prevalentemente consortile, e finalizzati a risolvere specifiche problematiche del mondo del lavoro e di impresa. I dipartimenti impareranno così a conoscere, con la pratica di ogni giorno, le reali esigenze del territorio e potranno adattare meglio l’offerta formativa, aumentandone la capacità di generare occupazione. Si svilupperanno nuove competenze e si aiuterà al contempo il territorio in una attività di continuo up-grading delle competenze di tutte le categorie sociali.

L’Università dovrebbe avere, alla fine del processo, e grazie al contributo decisivo dei dipartimenti, il vantaggio di vedere accresciuto il suo ruolo di servizio al territorio, ma anche notevoli risorse economiche aggiuntive che le consentiranno di competere con le università private e con le università concorrenti nella Regione.

Un processo lungo, non facile, che apre ad un nuovo modo di dialogare con tutti i soggetti presenti nel territorio, enti locali, imprese, mondo del lavoro, associazioni e volontariato, scuola, formazione professionale etc.

Vale la pena di iniziare a parlarne.


Giuseppe Ronsisvalle

Catania, 5 novembre 2012

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