Intervento del prof. Giuseppe Ronsisvalle, componente del Nucleo di Valutazione dell’Ateneo
L’intervento
del collega Ronsisvalle, che condivido pienamente, mi pare importante
per entrare nel vivo della costruzione del progetto/programma per
l’Ateneo dei prossimi anni. Lo ringrazio per il contributo e mi
auguro che si apra un dibattito ricco di proposte che mettano a
tacere inutili polemiche e faziosità che non servono certo alla
qualità della nostra competizione per il Rettorato.
Di
seguito l’intervento del collega Ronsisvalle.
Riflessioni
sul ruolo delle università
La
continua riduzione della forza docente di ruolo nelle università
italiane avviene senza che siano stati attivati meccanismi di
arruolamento/progressione basati su criteri e requisiti stabili nel
tempo e ben definiti.
L’ultimo
e recente allarme lanciato dalla CRUI per segnalare il continuo ed
inarrestabile decrescere delle risorse pubbliche appare ancora una
volta un inutile e rituale segno di impotenza e, al tempo stesso,
dell’incapacità di identificare e proporre strategie alternative
di reperimento di risorse.
La
riforma, cosiddetta Gelmini, e la sua rapida applicazione stanno
avendo un impatto drammatico anche sul docente/ricercatore più
motivato che, avendo perso le facoltà come punto di riferimento, non
sa più come operare nello svolgimento di ruoli fondamentali di
governo dell’offerta formativa, quali la presidenza di CdL, la
direzione di Scuole di Specializzazione, di Master o di coordinamento
dei Dottorati di Ricerca.
La
ricerca, che la crisi economica sta praticamente rendendo impossibile
nelle università, persino nei settori più innovativi, avviene con
sempre minori risorse e indefinite strategie.
Cosa
fare?
Le
università e i docenti universitari devono in tempi brevissimi
trovare il modo di passare, utilizzando le
professionalità e le
competenze presenti all’interno
delle loro strutture, da un
ruolo passivo ad un ruolo attivo nell’affrontare la crisi economica
e i cambiamenti.
Come?
Le
università italiane hanno eliminato le facoltà, rinforzando
enormemente la struttura centrale di governo degli atenei. La grande
diversificazione di strategie
e
mission adottate dai diversi atenei, più per motivi
ideologici dei rettori e dei loro organi di governo, non deve far
tuttavia pensare ad una situazione stabile e duratura, in grado di
rispondere alle sfide imposte da tempi di cambiamento continuo.
Al
di là dei rispettivi particolari interessi di ogni docente (o gruppo
di docenti) e dell’inevitabile conseguente desiderio di protezione
di specificità, si assisterà a continui riallineamenti, almeno
dell’organizzazione complessiva del sistema università. Tali
riallineamenti dovranno inevitabilmente essere basati su un
ruolo più attivo e
propositivo dei dipartimenti
nella definizione delle
strategie di Ateneo.
Le
università italiane saranno dopo la riforma a gestione più o meno
centralizzata, in funzione delle scelte fatte con la scrittura degli
statuti. Ogni ateneo italiano vedrà una combinazione diversa del
peso politico di gestione centrale e delle strutture periferiche.
È facile prevedere che, in maniera a-strategica, si
attiveranno ben presto forze che riterranno di risolvere i problemi
crescenti cercando di modificare l’equilibrio venutosi a creare.
Poiché il valore, le qualità e le competenze degli uomini di
governo inevitabilmente differiscono da momento a momento, ciò
produrrà un totale disallineamento tra atenei, anche della stessa
regione. Nello stesso istante, mentre un ateneo lotterà per
maggiormente decentralizzare, l’ateneo vicino, al contrario,
cercherà di risolvere i propri guai con un accentramento ulteriore.
La
trasformazione del sistema gestionale, imposto in buona parte dalla
riforma, ha introdotto nuove figure manageriali e una nuova filosofia
della gestione, spazzando via quella precedente, basata
esclusivamente sui tradizionali valori accademici. Questo sta
costituendo ulteriore fattore di grande disorientamento e di forte
dissenso. La possibilità di accettazione del cambiamento da parte
dei docenti, già resa difficile dall’attacco continuo (con
motivazioni a volte giuste, altre strumentali) al prestigio
accademico, da parte di diversi soggetti della società civile, è
arrivata ad un livello di soglia preoccupante. Alla lunga i processi
di valutazione della qualità e la maggiore trasparenza del sistema
forse risolveranno questo problema, ridando legittimità e prestigio
all’accademia. Al momento, si vive il passaggio con senso di grande
frustrazione.
Poiché
i valori della tradizionale cultura accademica non devono
e non possono essere,
da un giorno all’altro, eliminati, occorre trovare il modo di
ri-orientarli, adattandoli, con una operazione che andrà condotta
con ampio e generalizzato consenso, in modo da finalizzarli alla
trasformazione.
I
dipartimenti devono avere un ruolo centrale in questo processo, anche
al fine di compensare un eccesso di managerialismo, che rischia, se
fine a sé stesso, di rendere la linea di comando troppo TOP-DOWN.
Una
struttura di governance illuminata, ma molto centralizzata, non potrà
d’ora in poi limitarsi a dire: «Non si è in grado di reperire
risorse alternative a quelle pubbliche, dato il momento di grave
crisi economica che attraversa il Paese», ma dovrà anche trovare il
modo di coinvolgere le strutture decentrate e i dipartimenti in un
processo di ricerca di soluzioni che, coinvolgendoli, li
renda protagonisti, e arrivi a ridefinire la
mission e la vision dell’intero Ateneo, la sua
collocazione nel territorio, nella Regione e nella dinamica nazionale
ed internazionale di evoluzione delle strutture di Higher
Education.
In
altre parole, la futura governance dell’Ateneo non potrà
proporre di aspettare che ritornino a crescere le risorse pubbliche e
al contempo proporre riduzioni drastiche e il ridimensionamento
drammatico dell’offerta formativa di I°, II° e III° livello,
senza che vengano preliminarmente analizzate e valutate, in sinergia
con le strutture periferiche, le esigenze di crescita del territorio,
l’effetto sulla capacità dei giovani di accedere alla formazione
di terzo livello e alle professioni più avanzate e la possibilità
di contribuire allo sviluppo di attività di impresa in settori ad
alta capacità di innovazione e/o a tecnologia avanzata.
NON
può, senza prima aver fatto un tentativo di analizzare e affrontare
il problema della loro Qualità, senza valutare i diversi scenari e
le loro implicazioni, senza ricorrere ad un forte processo di
coinvolgimento delle strutture dipartimentali e dei centri di
servizio dell’Ateneo.
Tale
processo di responsabilizzazione/coinvolgimento porterà
inevitabilmente i dipartimenti ad agire con un alto, crescente, senso
di responsabilità e grado di autonomia, anche al di fuori dei
tradizionali confini universitari, legandosi a settori e
organizzazioni locali e nazionali dell’industria e del mondo del
lavoro. Questo processo avverrà e dovrà avvenire, pena il
fallimento, in maniera concertata, sinergica e con una strategia
condivisa tra tutti i dipartimenti della stessa area culturale,
scientifica e tecnologica e dovrà essere prodromico a forti
connessioni con il mercato del lavoro, onde evitare disparità di
opportunità di accesso e squilibri sociali.
L’aumento
di “peso” delle strutture dipartimentali potrà avere differenti
forme, sia dal punto di vista gestionale (gestione di contratti di
ricerca e di formazione, consulenze etc.), che della finalizzazione
strategica delle attività di ricerca e del loro legame con la
formazione. Questo porterà i dipartimenti a creare servizi collegati
al mondo esterno, più o meno autonomi nella loro gestione, di natura
prevalentemente consortile, e finalizzati a risolvere specifiche
problematiche del mondo del lavoro e di impresa. I dipartimenti
impareranno così a conoscere, con la pratica di ogni giorno, le
reali esigenze del territorio e potranno adattare meglio l’offerta
formativa, aumentandone la capacità di generare occupazione. Si
svilupperanno nuove competenze e si aiuterà al contempo il
territorio in una attività di continuo up-grading delle
competenze di tutte le categorie sociali.
L’Università
dovrebbe avere, alla fine del processo, e grazie al contributo
decisivo dei dipartimenti, il vantaggio di vedere accresciuto il suo
ruolo di servizio al territorio, ma anche notevoli risorse economiche
aggiuntive che le consentiranno di competere con le università
private e con le università concorrenti nella Regione.
Un
processo lungo, non facile, che apre ad un nuovo modo di dialogare
con tutti i soggetti presenti nel territorio, enti locali, imprese,
mondo del lavoro, associazioni e volontariato, scuola, formazione
professionale etc.
Vale
la pena di iniziare a parlarne.
Giuseppe
Ronsisvalle
Catania,
5 novembre 2012
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