lunedì 8 luglio 2013

Resoconto della seduta del CdA del 28 giugno 2013

Come promesso in precedenza, avvio un rapido resoconto delle sedute del Consiglio di amministrazione, limitandomi a quelli che mi sembrano i punti più salienti di volta in volta all’ordine del giorno e che implicano scelte delicate, delle cui motivazioni intendo dare conto, accettando critiche e suggerimenti da tutti i colleghi che vorranno farmi pervenire il loro contributo di idee.

Nella seduta del 28 giugno, il punto per me più delicato è stato quello riguardante il parere richiesto al Consiglio circa l’eventuale rinuncia ai giudizi derivanti dalle vertenze sollevate da 5 dei 26 ricercatori universitari che, avendo maturato un’anzianità contributiva di almeno 40 anni, sono stati collocati a riposo da questo Ateneo in base alla legge 133/2008.
Alcuni colleghi, ritenendo illegittima per difetto di motivazione la risoluzione del rapporto di lavoro operata dall’Ateneo, hanno proposto ricorso dinanzi al TARS – Catania; il Tribunale adito si è pronunciato in favore dei ricorrenti sia in sede cautelare che nel merito, ignorando di fatto la modifica nel frattempo introdotta dall’art. 16, c. 11 del D. L. 98/2011, sebbene la stessa sia stata segnalata al TARS dal C. G. A., a suo tempo investito della questione. Quest’ultima modifica normativa prevede, infatti, che la pubblica amministrazione «in tema di risoluzione del rapporto di lavoro […] non necessita di ulteriore motivazione, qualora l’amministrazione interessata abbia preventivamente determinato in via generale appositi criteri applicativi con atto generale di organizzazione interna, sottoposto al visto dei competenti organi di controllo».
L’Ateneo ha proposto appello avverso le sentenze del TARS – Catania per il tramite dell’Avvocatura distrettuale dello Stato di Palermo.
Questo è l’antefatto.
La discussione in seno al Consiglio di amministrazione del 28.6.2013 si è generata per l’iniziativa autonoma presa dal Rettore che, con una lettera inviata il 13.6.2013, ha invitato la predetta Avvocatura a chiedere al C.G.A. un rinvio della trattazione della domanda cautelare (prevista per il 19.6.2013) in ragione di non meglio precisate «nuove politiche di spesa varate dal Governo nazionale»; ciò, in attesa che gli organi accademici competenti valutassero l’interesse e l’opportunità di proseguire il giudizio.
L’Avvocatura distrettuale, con nota del 17.6.2013, non ha potuto fare a meno di rilevare, con non velato disappunto, la palese contraddittorietà della condotta dell’Ateneo, fortemente lesiva, peraltro, dell’iter difensivo seguito, ed ha sollecitato l’Ateneo medesimo ad addivenire ad una determinazione definitiva sul da farsi.
Dal confronto dialettico con i consiglieri sono emersi preliminarmente aspetti utili per fare chiarezza sulle specifiche competenze degli organi accademici in materia di gestione delle liti. Assodato che le norme di legge e di statuto fissano tali competenze in capo al Direttore generale, sentito il Consiglio di amministrazione, è stata poi sottolineata la necessità di assicurare parità di trattamento rispetto ai 21 ricercatori che, con indubbio stile e manifestando grande sensibilità nei confronti dei giovani precari della ricerca, hanno accettato – e molti di loro condiviso – il modus operandi dell’Ateneo in relazione alla legge n. 133/2008.
Oltre che sull’equità e sulla necessità di stabilire in modo certo e definitivo linee di condotta uniformi, è stato posto l’accento anche sugli aspetti economici della vicenda: infatti, le risorse economiche “liberate” dai ricercatori collocati in pensione possono costituire fonte di ossigeno per le scarse disponibilità dell’Ateneo e possono ingenerare piani propositivi per il turn over, consentendo, così, di dare risposte concrete ai tanti giovani che da anni spendono le proprie energie al servizio dell’Ateneo e per i quali, al momento, le prospettive sono labili e del tutto inesistenti. Solo indicativamente, si rileva che i ricercatori collocati a riposo hanno prodotto un’economia stipendiale di oltre un milione di euro annui.

Dall’ampia e articolata discussione è scaturita la decisione di proseguire le azioni legali già intraprese.

giovedì 9 maggio 2013

Stabilizzazioni TD e PUC


(Intervento di Giulio Fortini a commento del mio post precedente)



In merito al comunicato UIL del 7.5.2013, devo chiarire (o meglio, ribadire) che l’accordo tra Regione e Università, per il passaggio del personale universitario a carico dei Policlinici, ha riguardato tutti e tre gli Atenei siciliani. Non si è trattato affatto di un’iniziativa del solo Ateneo catanese, né di una presa di posizione esclusiva dello stesso.
A chiarimento del documento diffuso via mail dall’UIL, va osservato che il presidente del TAR Palermo si è limitato a prendere atto della volontà dei sindacati di ritirare il ricorso, senza entrare nel merito della questione.

Pertanto, fino alla stipula di un’eventuale transazione (che auspico tuteli gli interessi della comunità universitaria catanese, e per tale risultato mi impegno sin d’ora in qualità di senatore accademico) ovvero fino alle decisioni che saranno assunte dal TAR Catania sul ricorso dell’Ateneo, l’accordo rimane integralmente vigente e ciò permetterà di utilizzare i punti organico dei quali ha dato notizia, in modo circostanziato, il prof. Enrico Iachello nel suo blog (http://www.enricoiachello.blogspot.it), in particolare per le stabilizzazioni dei colleghi TD e PUC.



Giulio Fortini

martedì 30 aprile 2013

Un programma condiviso


Riparte il blog (http://www.enricoiachello.blogspot.it/), strumento che mi ha consentito di sperimentare, con soddisfazione, un nuovo modo di comunicare con la comunità universitaria (ma anche col territorio) quando ho maturato il proposito di candidarmi alla carica di rettore.
Riparte dopo un paio di mesi, durante i quali ho riflettuto a lungo, analizzando l'evolversi degli eventi seguiti all’elezione del nuovo rettore e proseguendo nel mio impegno istituzionale di consigliere di amministrazione dell'Ateneo. Riparte, perché mi sono detto che è opportuno, soprattutto in un momento che impone scelte difficili, dare conto ai colleghi, ma anche alla città, di quanto mi trovo a decidere, con gli altri consiglieri, in quell'organismo (presieduto dal rettore) a cui la legge conferisce, com’è noto, la responsabilità (nel senso letterale e non solo politico del termine) del governo dell’Ateneo.

Tra il 21 e il 28 febbraio scorsi, si è deciso, da parte mia e del prof. Giuseppe Vecchio, di desistere dalla competizione elettorale per il rettorato: un segnale di unità, per far sì che la comunità universitaria riuscisse a trovare la compattezza necessaria per affrontare i delicati e difficili problemi che l’Ateneo – insieme al Paese e al sistema universitario nazionale – ha di fronte. Di qui la decisione di dare piena fiducia al prof. Giacomo Pignataro (che aveva ottenuto più voti al primo turno, seppure non corrispondenti alla maggioranza del corpo elettorale), affidandogli, attraverso un’elezione, al secondo turno, col contributo di tutti, il processo di ricompattamento dell’Ateneo. Tale decisione è stata assunta con la massima rapidità, per spegnere un confronto elettorale la cui prosecuzione poteva risultare ‘divisiva’, il che non ha consentito, visti i tempi stretti, di mettere mano, prima dell’elezione del nuovo rettore, alla costruzione – insieme al candidato Pignataro, beneficiario della desistenza – di un programma delle cose da fare, tale da risultare condiviso dalle diverse ‘anime’ dell’Ateneo, variamente rappresentate negli organi collegiali. A questo compito, alla costruzione cioè di un programma condiviso, non possiamo adesso sottrarci. E ciò vale, in particolare, per quel che mi riguarda più direttamente, per l’organo di cui faccio parte, il Consiglio di amministrazione, a cui compete – per espressa previsione della legge di riforma – l’indirizzo strategico dell’Ateneo.

La riapertura del blog da parte mia si colloca all’interno di quella decisione ‘immediata’ e quindi mira a coinvolgere tutto l'Ateneo in questo processo di costruzione del programma unitario, che, per essere reale, deve riguardare tutte le componenti dell'Ateneo e trovare espressione negli organi che lo governano: il Senato accademico e, appunto, il Consiglio di amministrazione. Le dimissioni del past-rettore, il prof. Antonino Recca, lette da tutti come un gesto apprezzabile di sensibilità istituzionale, hanno accelerato l’insediamento del prof. Pignataro e consentono di aprire da subito questo processo. Ciascuno ora deve fare la sua parte, dai docenti al personale tecnico-amministrativo, agli studenti, al Nucleo di valutazione, ai componenti del Senato accademico e del Consiglio di amministrazione, al direttore generale, al rettore, nel rispetto delle competenze e dei ruoli che la legge assegna a ciascuno di loro.
Nello svolgimento del mio incarico, intendo sottoporre a verifica ampia e quotidiana il mio contributo alla ricomposizione della nostra comunità. Con chiarezza e franchezza: saranno i colleghi a orientare le mie scelte di consigliere di amministrazione. La riapertura del blog serve allora a cercare il confronto e il conforto (la legittimazione, se si vuole) della comunità universitaria. Invito i colleghi a farmi pervenire il loro contributo di idee; da parte mia, la massima disponibilità a condividere il mio blog con tutti coloro che vorranno intervenire: questo spazio è a disposizione di tutti coloro che, con serenità e con spirito collaborativo, vorranno arricchirlo.

La ricomposizione, con il coordinamento del nuovo rettore, non può avvenire – credo sia chiaro a tutti – attraverso astratti proclami, ma deve concretizzarsi in un percorso di condivisione delle scelte difficili che la situazione impone al nostro Ateneo. Messe da parte le polemiche e risolti i conflitti che pur ci sono stati (e laddove permanessero motivi di attrito sarà bene esplicitarli e cercare di risolverli con la serenità di una fase non più elettorale, attraverso un confronto positivo), occorre fare fronte a una situazione che è davvero drammatica. Anche in recenti interviste rilasciate agli organi di informazione, il rettore ha sottolineato le difficoltà in cui ci troviamo, difficoltà che avevo peraltro già evidenziato durante i dibattiti elettorali. «Le risorse che ci trasferisce lo Stato, – ha dichiarato Pignataro – da quest’anno, non saranno più sufficienti a pagare gli stipendi». Non è l'unico problema, ma evidentemente è ‘il problema’; esso impone una gestione oculata del bilancio e costringe appunto a scelte dolorose. È giusto, di più, credo, è necessario, che i dipartimenti siano coinvolti di fronte alle scelte più delicate. Vanno cioè informati e, a mio avviso, richiesti di esprimersi in modo che il Senato e il Consiglio, ognuno per quanto di propria competenza, possano deliberare, sia pure in piena autonomia, consapevoli degli orientamenti prevalenti in Ateneo.


LA VICENDA POLICLINICO
Uno dei problemi più scottanti che ci troviamo di fronte, che richiede l’individuazione di una soluzione condivisa, riguarda la vicenda del personale passato al Policlinico a partire dal 1 marzo 2012, di cui si è discusso durante la campagna elettorale, ma che è opportuno affrontare ora con la concretezza e con la serenità necessarie. Non ho posizioni pregiudiziali sulla questione, ma vorrei che a tutti fosse chiara nella sua portata e nelle conseguenze drammatiche che potrebbero derivare da scelte sbagliate. L’unico principio che mi guida è l’interesse dell’Ateneo. E poiché sono convinto che questo è un principio che tutti condividiamo, confido in un confronto sereno.

Ricordo, anzitutto a me stesso, che tale vicenda origina dal vigente protocollo d’intesa fra la Regione Siciliana e l’Università di Catania. In particolare, l’art. 14, n. 6, del protocollo d’intesa rinviava a successive e specifiche intese tra i due enti la definizione di un percorso giuridico-amministrativo per far sì che il personale universitario impegnato in attività assistenziali fosse assorbito dall’azienda Policlinico. In virtù di tale previsione protocollare, l’assessore della Salute della Regione Siciliana e il rettore pro tempore dell’Ateneo catanese hanno siglato, nel dicembre 2011, un accordo quadro (di attuazione dell’art. 14, n. 6, del protocollo d’intesa) che ha demandato a intese dirette tra l’Ateneo e il Policlinico il passaggio dall’una all’altra istituzione del personale interessato. A tale accordo quadro ha fatto seguito l’accordo attuativo del 27 febbraio 2012, che ha prodotto il trasferimento di cui sopra, con effetti giuridici immediati (dal 1 marzo 2012 il personale è alle dipendenze dell’azienda Policlinico, da cui viene regolarmente retribuito) e con effetti finanziari, corrispondenti al costo stipendiale del personale, spalmati nell’arco del quinquennio 2012-2016, con riduzione progressiva della quota a carico dell’Università pari a un quinto del costo complessivo del personale in ragione di ciascun anno.
Va precisato che l’accordo attuativo, la cui piena legittimità è stata acclarata con un provvedimento positivo della Commissione di certificazione dell’Università di Venezia, non ha in alcun modo intaccato il trattamento economico-normativo goduto da ciascuno dei dipendenti trasferiti, i quali sono persone che già da tempo lavoravano presso il Policlinico, per le quali l’Università si è limitata, sino al marzo 2012, a pagare somme equivalenti all’ammontare degli stipendi universitari, senza trarne alcuna effettiva controprestazione lavorativa. In sostanza, è il costo stipendiale che è stato correttamente trasferito dal sistema universitario al Policlinico, giacché è proprio il sistema sanitario che si è avvalso e continua ad avvalersi del contributo professionale di tali risorse umane.
Lo stato di cose di cui sopra – derivante da un accordo quadro bilaterale, di diritto privato, posto in essere dalla Regione Siciliana d’intesa con l’Università di Catania – è stato revocato unilateralmente, con atto di diritto pubblico, dall’Assessorato regionale della Salute, su sollecitazione dei Ministeri della Salute e dell’Economia, sulla base di un presunto aggravio di spesa pubblica, prodotto dal trasferimento. Tale aggravio di spesa è invero inesistente: la spesa pubblica, corrispondente agli stipendi versati a favore del personale operante presso il Policlinico, è rimasta la stessa, pur se finalmente posta a carico dell’ente (la Regione Siciliana, e per essa il Policlinico) che si avvale (e si è sempre avvalso) delle prestazioni professionali del personale trasferito. L’Università di Catania, pertanto, ha prontamente reagito, con delibere del Consiglio di amministrazione, a tali decisioni dell’Assessorato regionale, evidentemente lesive del buon diritto e degli interessi della comunità universitaria, e – in sintonia con le Università di Messina e di Palermo – si è già premurata di depositare un ricorso al TAR (preconizzato dall’allora coordinatore del Comitato regionale universitario della Sicilia, prof. Roberto Lagalla), confortata dalla recentissima giurisprudenza amministrativa in materia di accordi bilaterali tra enti pubblici.
L’Università di Catania, pur confidando ragionevolmente in un esito favorevole del ricorso al TAR, si era già detta disponibile anche all’individuazione di una soluzione transattiva della vicenda, che tuttavia salvaguardi i legittimi interessi dell’Ateneo catanese, e ha anzi sollecitato in tal senso un intervento di mediazione dei ministeri interessati (cfr. delibera del 7 gennaio 2013).

Ma quali sono gli interessi in gioco, i vantaggi prodotti dal trasferimento del marzo 2012, a cui l’Università dovrebbe rinunciare qualora decidesse di azzerare il risultato dell’intesa allora raggiunta con la Regione Siciliana? Si tratta di vantaggi di indubbio rilievo, a cui è assai difficile rinunciare, soprattutto in considerazione del momento di grave difficoltà finanziaria in cui versano gli atenei, compreso il nostro.
Il costo stipendiale, annuale e complessivo, del personale passato al Policlinico è di € 9.231.036,28. Tale costo sarà interamente a carico del Policlinico nel 2016, ma già nel 2012 l’Ateneo ha risparmiato € 1.842.607,26, e nel 2013 risparmierà € 3.685.214,51 (saranno circa 5,5 i milioni di euro risparmiati nel 2014, e circa 7,4 quelli che si risparmieranno nel 2015). Un bel po’ di denaro, quindi, che l’Ateneo potrà ben impiegare, sulla base delle scelte che verranno operate dagli organi di governo, orientati dalla comunità universitaria, anzitutto per salvaguardare il proprio equilibrio di bilancio (e per assicurare così anche il pagamento degli stipendi, oggi messo in dubbio anche dal rettore), ma anche – ove le condizioni economiche lo consentissero – per finanziare i nuovi dottorati di ricerca (nel rispetto di quanto stabilito dalle norme di riforma degli stessi), per supportare le iniziative di ricerca di Ateneo, per garantire il mantenimento del nostro patrimonio bibliografico (anche alla luce di un finanziamento regionale che sta via via scomparendo), per pagare eventualmente integralmente gli incarichi di insegnamento (quelli svolti dai ricercatori a tempo indeterminato, ma anche quelli aggiuntivi al carico didattico assicurati dai professori ordinari e associati, e dai ricercatori a tempo determinato), per migliorare il livello e la qualità dei servizi tecnico-amministrativi. E si tratta soltanto di un elenco di esigenze, che mi viene da fare a una prima approssimazione, da integrare con le indicazioni che mi proverranno dai colleghi della comunità universitaria.

Ma v’è di più. Il passaggio al Policlinico ha prodotto cessazioni nel 2012 corrispondenti a 70,15 punti organico (che si sommano ai 62,10 punti organico derivanti dalle altre cessazioni avvenute nel 2012). Di qui, tenuto conto delle norme di legge in vigore e di quanto avvenuto nel 2012, l’Ateneo può contare – in virtù del passaggio al Policlinico – su circa 11 punti organico per assunzioni nel corso del 2013, da destinare alla stabilizzazione di circa 45 unità di personale tecnico-amministrativo attualmente con rapporto di lavoro a tempo determinato (TD e PUC). Altri 10 punti organico (derivanti dalle altre cessazioni 2012) resterebbero liberi, per essere utilizzati dai dipartimenti, individuato quanto prima un criterio di distribuzione condiviso (che va urgentemente stabilito anche per i 18 posti di ricercatore di tipo A già programmati), al fine di dare risposta alle aspettative dei precari della ricerca (giovani, già ricercatori e assegnisti, che aspirano a una stabilizzazione attraverso un contratto di ricercatore di tipo B e altri giovani che aspirano al primo ingresso nel mondo della ricerca universitaria attraverso un contratto di tipo A), nonché ai professori associati che guadagneranno l’abilitazione a ordinario (laddove, invece, gli abilitati ad associato potranno contare sui 32,40 punti organico assegnati all’Ateneo attraverso il piano straordinario per la chiamata dei professori associati).
Enrico Iachello

giovedì 28 febbraio 2013

Comunicato del 28 febbraio 2013

Formulo al rettore eletto Giacomo Pignataro i migliori auguri di buon lavoro. Come ho già dichiarato all'esito della prima votazione, confido nel fatto che il collega Pignataro saprà mettere a frutto la ritrovata compattezza dell'Ateneo, manifestatasi in questo secondo scrutinio, per mobilitare tutte le energie della comunità universitaria, al fine di affrontare i delicati problemi che ci attendono nell'attuale fase difficile per il Paese e per la sua Università.
Enrico Iachello

giovedì 21 febbraio 2013

Comunicato del prof. Enrico Iachello



Prendo atto del risultato elettorale favorevole al collega Giacomo Pignataro. Mi auguro che, come ho sempre sostenuto anche in pubbliche interviste, chiusa la competizione elettorale la comunità accademica ritrovi la compattezza indispensabile per affrontare i delicati e difficili problemi che ha di fronte.

Enrico Iachello

lunedì 18 febbraio 2013

Appello per Enrico Iachello

Siamo ormai quasi al termine della competizione elettorale per la carica di Rettore. Nel complesso, una competizione serena, anche se non sono purtroppo mancati alcuni episodi poco gradevoli e pressioni talvolta eccessive.
Sentiamo il bisogno – soprattutto nell’attuale rincorrersi di voci, che mira a predeterminare il risultato che solo lo spoglio di giorno 21 potrà in realtà rivelarci – di ribadire il nostro sostegno a Enrico Iachello.
Il suo programma si è rivelato il più rigoroso nell’affrontare i drammatici problemi del nostro Ateneo, a seguito della progressiva riduzione del fondo di finanziamento ministeriale, e nell'indicare la strada da percorrere per risolverli, evitando demagogia e promesse facili a dirsi e impossibili a mantenersi. Mettendo da parte conflitti interni più o meno legittimi e l’inutile ricerca di alibi, la sua proposta fa appello alla nostra responsabilità e al nostro impegno, l’unica leva su cui possiamo direttamente operare. In altri termini, ci invita a uno sforzo per cambiare il nostro Ateneo, senza affidarsi a proclami roboanti sì, ma vuoti. Sarebbe forse più comodo, apparentemente anche più conveniente, rifugiarsi nel solito slogan «piove, governo ladro», immaginando che i nostri problemi siano solo colpa degli altri. A tanti può anche fare piacere dipingere un quadro della situazione tanto tranquillizzante, quanto purtroppo non corrispondente alla realtà. A nostro avviso, si tratta di strade non percorribili, pena la definitiva marginalizzazione del nostro Ateneo e il default.
Occorre, piuttosto, individuare soluzioni concrete, immediate e fattibili, quali sono quelle prospettate da Enrico Iachello. La via da imboccare è quella, faticosa ma gratificante, del miglioramento della nostra qualità; ciò significa, anzitutto, fare diminuire il numero degli studenti fuori corso e aumentare la nostra produttività scientifica, fattori che ci hanno sin qui penalizzato nella distribuzione della quota premiale del fondo di finanziamento ministeriale. Da qui anche la proposta di una democrazia meritocratica (riservare l’elettorato passivo per la cariche accademiche, ma anche eventuali deleghe, ai colleghi posti nei primi due quartili delle graduatorie di merito).
La storia di Enrico Iachello, il suo percorso accademico e il suo impegno a servizio dell’Ateneo, prima da preside e ora da consigliere di amministrazione, hanno rivelato la sua piena dedizione alla nostra Istituzione, unita a un approccio rigoroso e ricco di saggia inventiva, tutte caratteristiche che lo rendono meritevole di essere alla guida del nostro Ateneo, un Ateneo che sia soggetto culturale attivo e propositivo, fattore di sviluppo del nostro territorio.

Salvo Adorno, Vicedirettore Dipartimento di Scienze Umanistiche
Gabriella Alfieri, Presidente Fondazione Verga, Accademica della Crusca, Dipartimento Scienze Umanistiche
Carmelo Crimi, Direttore Dipartimento di Scienze Umanistiche
Febronia Elia, componente CDA Ateneo
Marcello Lattuada, Dipartimento di Fisica e Astronomia
Ida Nicotra, Dipartimento Seminario Giuridico
Dario Palermo, Direttore Dipartimento di Scienze della Formazione
Giovanna Tempera, Direttore Dipartimento di Scienze Bio-Mediche


venerdì 15 febbraio 2013

Le priorità dell'Ateneo

Testo pubblicato (con qualche taglio editoriale per esigenze di spazio, qui proposto in versione integrale) su «La Sicilia» del 14 febbraio


Credo che la priorità ‘assoluta’ per la nostra Università, così come per il Paese, sia oggi quella di affrontare la situazione rappresentando correttamente la verità dei fatti ai propri interlocutori e, in particolare, al corpo elettorale, smettendola con la ‘fiera delle promesse’. Occorre porsi di fronte la realtà drammatica del Paese, e in esso della sua Università, se vogliamo uscire dalla crisi. Si richiedono uno sforzo e un impegno straordinario. Così come il nostro territorio vede messo a repentaglio il suo livello di benessere (meglio: quel che ne resta), anche il nostro Ateneo è a rischio.

Si esamini un dato: il contributo del Ministero (il cosiddetto FFO) assegnato all’Ateneo catanese è stimato, per il 2013, in circa 165 milioni di euro (corrisponde alla cifra del 1998); la spesa per i nostri stipendi è pari a 178 milioni. Per quest’anno, con i risparmi fatti in passato e con le riduzioni di spesa degli ultimi esercizi, riusciremo ancora a garantire un servizio adeguato. Dall’anno prossimo, la situazione può precipitare e rischiamo di essere costretti a indebitarci.
Questa è la verità. Che fare?

L’unica strada percorribile consiste nell’attingere sempre di più al fondo premiale del Ministero. Una parte crescente delle risorse ministeriali viene distribuita agli atenei in base ai risultati raggiunti; in particolare, rilevano i risultati della didattica (per adesso ‘misurati’ essenzialmente sulla regolarità del percorso di studio degli studenti) e la produttività della ricerca scientifica. Per entrambi i fattori, il nostro Ateneo può adoperarsi per migliorare il livello delle entrate: la media nazionale dei fuori corso è del 33,5 %, la nostra è superiore al 45%. Per la ricerca, i primi indicatori ci dicono che siamo sotto la media nazionale. Non sono dati che si possono cambiare rapidamente, ma appunto per questo disegnano un’emergenza da affrontare urgentemente e in modo rigoroso. Non abbiamo risorse da investire se non noi stessi. Dobbiamo impegnarci di più nella didattica e nella ricerca.

Sono necessari: 
a. più attività didattica e più tutorato;
b. personalizzare il percorso formativo dei fuoricorso, con uno scadenzario credibile per il conseguimento della laurea;
c. stabilire rapporti organici con le scuole per attivare iniziative di orientamento, ma anche di conoscenza del background studentesco (in modo da ‘calibrare’ le nostre lezioni).

Per la ricerca occorre:
a. dare vita a un osservatorio che ci consenta di ‘entrare’ nel merito di essa, in modo da individuare punti di aggregazione scientifica, ma anche in modo di orientarla in parte sulle esigenze del nostro territorio;
b. non avendo risorse sufficienti per incentivare economicamente chi produce migliore ricerca, dobbiamo riservare le cariche accademiche a chi occupa le posizioni più elevate (i primi due quartili) nelle graduatorie di produttività scientifica. Questo non è un ‘espediente’ per incentivare la produttività scientifica, ma un principio di coerenza per un Ateneo che deve puntare sempre più sulla qualità: il governo dell’Ateneo, a partire dal rettore, deve essere affidato ai docenti che questa qualità garantiscono con il loro lavoro.

Un’altra priorità del nostro Ateneo: ridefinire il nostro ruolo nel territorio, qualificandoci come risorsa per lo sviluppo. Negli anni in cui sono stato preside, il Monastero dei Benedettini è diventato punto di riferimento per l’attività culturale della città. In un dialogo con il Comune, la Provincia e soprattutto la Regione, occorre individuare nel settore dei beni culturali un settore strategico per lo sviluppo dell’Isola; ciò anche attraverso l’incentivazione di iniziative in sinergia pubblico/privato, che riconoscano all’Università il ruolo di leadership scientifica.

Più in generale, occorre dialogare sul serio con le organizzazioni imprenditoriali, sindacali, sociali, per comprendere di quali competenze il nostro territorio abbia bisogno; ciò vale per i corsi di laurea, e vale soprattutto per i master. Da qui bisogna ripartire anche per affrontare in modo positivo lo ‘scandalo’ della formazione nella nostra Regione: agli imprenditori e ai sindacati va richiesto un piano di formazione legato alle reali opportunità di inserimento nel mondo del lavoro; alle istituzioni universitarie può essere affidato l’accreditamento degli enti e il controllo di qualità dei corsi.

Uno dei punti di forza della presenza nel territorio dell'Ateneo è la sanità. Ma l’Ateneo vi interviene e deve potervi intervenire a partire dalla sua specificità: la formazione dei medici, cioè dando priorità a didattica e ricerca. L’assistenza è importante, ma nell’ambito di questa mission didattico-scientifica. Invece la Regione, tramite i suoi direttori, ha sinora spinto a forzare l’attività del Policlinico sul versante ospedaliero. Ma il Policlinico universitario o è un teaching hospital o non esiste. E chi formerà i medici di cui ha bisogno il nostro territorio? Occorre garantire un ‘governo clinico’ del Policlinico.

Per svolgere un ruolo di rilievo, l’Ateneo deve mobilitare al meglio il suo apparato amministrativo. Al direttore generale e alla dirigenza bisogna chiedere di fornire servizi sempre più efficienti, in grado di facilitare l’azione dei docenti. Occorre por fine ai punti di frizione tra burocrazia e docenza. Occorre, però, prendere atto che il rapporto di forze è del tutto a sfavore del personale tecnico-amministrativo, avendo meno tecnici e meno amministrativi degli altri atenei di dimensione pari alla nostra. Dobbiamo, nel reclutamento, tenere conto di ciò in modo adeguato, così come della necessità di stabilizzare i nostri ‘precari’. E per non fare demagogia, dico che le risorse possiamo prenderle solo dai risparmi stipendiali provenienti dal trasferimento sul bilancio regionale del personale del Policlinico. Circa 10 milioni di euro l’anno verranno così risparmiati a regime. Se non si fosse fatta questa operazione, se essa malauguratamente non fosse più possibile, il default sarebbe alle porte.
Enrico Iachello

giovedì 14 febbraio 2013

Presentazione del libro "Brutti, sporchi e cattivi"

Da sinistra: Enrico Iachello, Ivan Lo Bello, Giovanni Valentini, Enzo Bianco, Lea D'Antone




La presentazione del libro di Giovanni Valentini è stata un'occasione importante. Due storici (con me, anche la prof.ssa Lea D'Antone), un esponente di spicco degli imprenditori, Ivan Lo Bello (che ha rappresentato, durante la presidenza di Confindustria Sicilia, un punto di svolta e di speranza per un rinnovamento della classe imprenditoriale siciliana), un uomo politico che ha rappresentato e rappresenta per Catania il momento politico-amministrativo più rilevante della sua storia attuale, Enzo Bianco, si sono confrontati in realtà sul futuro del Mezzogiorno. Gli scenari appaiono drammatici e proprio per questo occorre attivare da subito le strategie adeguate per invertire la rotta di un processo che rischia altrimenti di essere devastante. Mi sono soffermato sul ruolo che può e deve svolgere l'Università per riproporsi come risorsa per lo sviluppo del Paese. Il confronto è stato proficuo e soprattutto lascia ben sperare per collaborazioni importanti nel futuro.

Enrico Iachello





Coro di notte, Monastero dei Benedettini




mercoledì 13 febbraio 2013

Università e CNR: il dottorato come prima prova di integrazione

(intervento di Daniele Malfitana, direttore Istituto per i beni archeologici e monumentali del CNR, Catania)



Il tema del dottorato di ricerca toccato da Enrico Iachello, alla luce del recente DM dell'8 febbraio, offre l’occasione per consolidare sempre più interesse attorno ad un argomento su cui le Università e gli Enti di ricerca saranno chiamati ad operare già nei prossimi mesi. Sì, anche gli Enti di ricerca: perché il DM appena menzionato, all’art. 2, comma 2, lettere a, d, prevede espressamente che la costruzione del nuovo corso di dottorato debba nascere, anche, da sinergie, consorzi, convenzioni tra università ed enti di ricerca. La necessità di legare sempre più la rete delle università agli enti di ricerca (in primis, la rete degli Istituti del CNR sparsi su tutto il territorio nazionale) è stata sinora molto sostenuta dal Ministro Profumo. Il decreto ministeriale immediatamente precedente (prot. 24786 del 27.11.2012 «Convenzione quadro tra Università ed enti pubblici di ricerca per consentire ai professori e ricercatori universitari a tempo pieno di svolgere attività di ricerca presso un ente pubblico e ai ricercatori di ruolo degli enti pubblici di ricerca di svolgere attività didattica e di ricerca presso Università») va proprio nella direzione di favorire le sinergie, le interazioni, la reciprocità creando quel sistema integrato tra Università ed enti di ricerca sempre auspicato e su cui anche il Presidente del CNR, Luigi Nicolais, sta lavorando tanto. Peraltro, le attività didattiche svolte dai ricercatori degli enti di ricerca potranno concorrere proporzionalmente all'accreditamento delle sedi e dei corsi di studio. Segno evidente che la sinergia è quasi obbligata. Ora, con il DM dell'8 febbraio scorso, la prima occasione di prova che si offre è il dottorato. Su questo tema, credo sia necessario fare squadra. Il coinvolgimento del CNR come altro attore co-gestore del corso di dottorato potrebbe servire anche a "recuperare" risorse per accrescere il numero delle borse oltre ad ottimizzare sforzi ed energie per l’investimento sui giovani ricercatori. La strategia e l'interesse ad attivarsi tempestivamente sul tema, come enunciato da Enrico Iachello nel suo intervento, dunque, sembra condivisibile e sostenibile. Come sicuramente sostenibile è il tema di un possibile futuro dottorato sui "processi di costruzione delle identità territoriali". Un tema strategico capace di radunare competenze diverse e sicuramente risorse diverse creando quelle aggregazioni disciplinari necessarie per la crescita, dell'Università come dell'ente di ricerca. L'esperienza del Polo Archeologico di Palazzo Ingrassia, voluto con forza e lungimiranza direi da Enrico Iachello qualche anno fa e nel quale convivono archeologi e storici del Dipartimento di Scienze Umanistiche ed archeologi e storici dell'Istituto CNR che chi scrive dirige, ci dimostra che già allora si era visto bene anticipando quanto ora sancito dai decreti ministeriali appena pubblicati.

Daniele Malfitana



martedì 12 febbraio 2013

La retorica assemblearista e i reali problemi dell'Ateneo

(Intervento di Antonio Di Grado, pubblicato su «La Sicilia» del 12 febbraio 2012)


Le targhette col mio nome e quelli dei colleghi, accanto al mio studio universitario, si sono staccate. Capita, figuriamoci. Solo che mi dicono che al momento mancano i soldi per comprare la colla.
Perché racconto questo banale episodio? Perché giorni fa, nell’auditorium del monastero dei Benedettini, ho assistito alla sfilata dei candidati alla carica di Rettore. A sentire quasi tutti gli interventi, dei candidati e del pubblico, sembrava di essere all'Assemblea Costituente nel '46, oppure al C.d.A. della Banca d'Italia: si parlava di governance, di investimenti, di magnifiche sorti e progressive. E i due euro per la colla?
Cosa voglio dire? Che non ne posso più di vuota retorica e progettualità da imbonitori, buona solo a nascondere il baratro in cui l'università italiana si sta inabissando e a imitare le televendite di un ex premier ancora prodigo di mendaci promesse. Faceva notare Enrico Iachello, l’unico dei candidati a dire cose concrete e fattibili, che dai primi mesi dell’anno prossimo potrebbero non esserci più fondi per pagare gli stipendi: e noi a menarcela con la governance e con la retorica assemblearista e iperuranica così soavemente (e irresponsabilmente) “di sinistra”!
Rimpiango Totò: «ma mi facci il piacere!»... E voterò per Enrico Iachello.
Ho lavorato accanto a lui in tutti questi anni, gli unici in cui abbia vissuto con gioia e con orgoglio l’appartenenza a una istituzione universitaria sempre più screditata e delegittimata, e non solo per colpa di governanti incolti o di gazzettieri superficiali.
Che questo forte senso d’identità e di appartenenza io l’abbia sperimentato proprio in un momento pre-agonico (soprattutto, ahimè, per le facoltà umanistiche) come questo, lo devo al coraggio, al rigore e all’inventiva con cui Iachello prese in mano anni fa da preside la Facoltà di Lettere, riuscendo tra l'altro ad aprire il nostro splendido monastero al territorio, ad animarlo con continue e prestigiose iniziative artistiche, a fare della Facoltà (caso, credo, unico) un soggetto istituzionale e culturale che recitasse un ruolo da protagonista, talvolta più e meglio degli enti locali in dissesto, nella politica cittadina.
E questo mi pare già da solo un risultato che non solo pochi suoi colleghi possono vantare, costretti come siamo a un ruolo passivo di burocrati e amministratori acritici d’un desolante status quo, ma che lo candida a Rettore di un ateneo che non sia tanto azienda quanto, invece, soggetto culturale attivo e propositivo, in grado di offrire idee e competenze a una società civile sempre più mortificata e malgovernata.
In quest’impresa, dicevo, lo affiancai: anche da vicepreside, anche da responsabile delle attività culturali della Facoltà, ma soprattutto come amico: che è altro e di più di quei ruoli istituzionali, l’amicizia essendo dialettica, talora simbiotica e talora conflittuale, comunque assai più viva e feconda d’una cordata accademica o d’una parentela politica.
E partigiana, come questa mia testimonianza. E perché no, se esser di parte significa prender parte, sposare una causa, sottrarsi al giogo dei potentati, alla rete degli interessi, all’indifferenza omertosa e all’opaca routine che ci stanno condannando all’estinzione?
Intanto, la colla la comprerò io.
Antonio Di Grado

lunedì 11 febbraio 2013

Scelte urgenti a seguito della nuova normativa sul dottorato di ricerca


L'incalzare della decretazione ministeriale conferma in modo evidente le esigenze di concretezza, che ho posto al centro del mio programma e che sto cercando di far emergere anche da parte degli altri candidati, nel corso dei dibattiti.
Dopo l'accreditamento dei corsi di studio (AVA, DM. 47/2013), ecco il decreto per il dottorato di ricerca (DM. 94/2013: http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/web/ministero/cs080213) che – sia pure con le consuete complicazioni – ci spinge nella direzione da me prospettata in vari interventi e ripresa nelle proposte programmatiche. Il dottorato deve diventare parte integrante dell'offerta formativa di un Ateneo che non vuole ‘liceizzarsi’ e vuole invece puntare davvero sulla qualità.  Del resto, ciò è esplicitato anche dall'art. 6 del decreto ministeriale quando, al comma 4, si afferma che l'attività didattica e tutoriale svolta dai docenti nei corsi di dottorato «concorre all'adempimento degli obblighi istituzionali» dei professori e dei ricercatori.
Per il prossimo anno accademico, dopo gli adempimenti di competenza della Corte dei Conti, previsti in tempi brevi, se si vogliono rispettare le scadenze contenute nello stesso decreto, dobbiamo rapidamente compiere le nostre scelte.
In attesa di un ampio e partecipato confronto, che permetta di entrare nel merito delle proposte concrete (di accreditamento e di attivazione) che saranno avanzate dall'Ateneo (quali tematiche, quali ambiti disciplinari, quali curricula coinvolgere in un corso di dottorato?), mi soffermo qui schematicamente su alcuni aspetti di ordine 'generale':

a. l'accreditamento, condizione indispensabile per l'attivazione del corso di dottorato, è subordinato al soddisfacimento di alcuni «requisiti necessari», primo fra tutti la presenza di un «collegio del dottorato, composto da almeno sedici docenti» che debbono aver conseguito risultati di ricerca rilevanti in ambito internazionale, in particolare nel quinquennio precedente la richiesta di accreditamento del corso. Il decreto è chiaro, senza questo requisito non c'è accreditamento e quindi niente corso di dottorato. La mia proposta di affidare le cariche accademiche ai colleghi posizionati nei primi due quartili della graduatoria della produttività scientifica trova qui un’ulteriore ragion d’essere e spinge a modificare quanto prima i regolamenti elettorali in tal senso. Non è proponibile, né credibile che un Ateneo, 'costretto' a puntare sulla produttività e sulla qualità scientifica, sia 'governato' da chi occupa posizioni di scarso prestigio nelle relative graduatorie.

b. fondamentale è innanzitutto la disponibilità di risorse proprie. Occorre infatti – come condizione necessaria – disporre di «congrui e stabili finanziamenti per la sostenibilità del corso», con specifico riferimento alle borse di dottorato, che sono previste nel numero medio di almeno 6 per corso di dottorato attivato dall’Ateneo (e comunque non inferiore a 4 per singolo ciclo). «I soggetti accreditati – ribadisce l'art. 13, comma 1, del decreto – provvedono al finanziamento dei corsi di dottorato».

Il finanziamento ministeriale si avrà solo nell'ambito delle disponibilità finanziarie del Ministero (e temo non siano invero gran cosa, visti i tempi), «senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica», e in modo premiale («sentita l’ANVUR»). Ne consegue che, oltre alla qualità della proposta, occorrerà comunque prevedere un investimento che la renda intanto economicamente sostenibile. Certo, dovremo anche cercare di stipulare convenzioni e di consorziarci con altre sedi. Ma un investimento 'nostro', a tutela di un'offerta 'minima', dobbiamo pur prevederlo. Nel bilancio di previsione per l’esercizio 2013, siamo riusciti, malgrado i nuovi ‘tagli’ ministeriali, a mantenere ferma, per la copertura del nuovo ciclo di dottorato, una posta di due milioni di euro, utili a finanziare – com'è già avvenuto per l’ultimo ciclo di dottorato (il XXVIII) – 40 nuove borse di dottorato con fondi istituzionali di bilancio (altre 40 borse sono state messe a bando, nel 2012, su finanziamenti dedicati: PON, Fondo giovani, convenzioni con enti esterni). Con le regole introdotte dal recente decreto ministeriale, i conti sono presto fatti: in soldoni, possiamo finanziare ‘integralmente’ solo 6 corsi di dottorato. Tenuto conto degli altri finanziamenti dedicati (e presumendo che gli stessi non subiscano alcuna contrazione nel 2013), riusciremmo a far partire soltanto una dozzina di corsi di dottorato (contro i 35 attivati nell'ultimo ciclo). Troppo pochi per un Ateneo che vuole scommettersi sulla qualità. Significherebbe, tra l'altro lasciar fuori intere aree e settori disciplinari, sia pur prestigiosi. Per un'offerta formativa di Ateneo, che guardi veramente al terzo livello come tratto 'forte', dobbiamo almeno provare a raddoppiare la posta in bilancio, per puntare almeno a 22/24 corsi di dottorato, che sono pur sempre una riduzione drastica rispetto a quelli attivati nel 2012. Per farlo, dobbiamo reperire almeno altri 2 milioni di euro. Come? Questo è il problema vero. L'unica via percorribile, attualmente, è data dai risparmi stipendiali provenienti dal personale del Policlinico trasferito sul bilancio regionale. Questa scelta si riconferma ancora una volta vitale, e diviene ancor più evidente la grave irresponsabilità di chi dentro l'Ateneo si pone su posizioni di 'ritorno al passato'.
Questi punti mi paiono al momento quelli su cui concentrarsi prioritariamente.
Per quanto riguarda l'area umanistica 'classica' (cioè le aree 10 e 11, per intenderci), posso  però anche tentare, per aprire una discussione anche nel merito dei corsi di dottorato da attivare, di avanzare una proposta tematica.  Essa, a mio avviso, deve puntare sui ‘Processi di costruzione e di trasformazione delle identità territoriali’, con una precisa specificazione che porti alla valorizzazione e alla fruizione del patrimonio culturale. È solo una proposta tematica per le aree su cui ho specifica competenza; l'avanzo qui, per avviare una discussione, indicando un percorso che si misuri – e ciò vale anche per gli altri settori scientifici del nostro Ateneo – con le esigenze del nostro territorio, in modo che la nostra attività di formazione e di ricerca si qualifichi sempre più come suo fattore di sviluppo.

Enrico Iachello

venerdì 8 febbraio 2013

La necessità della concretezza

Il candidato rettore Enrico Iachello, 7 febbraio 2013




Cari Colleghi,
ho pensato che possa essere utile proporvi un estratto audio della riunione che ieri ha visto impegnati i candidati rettore presso l'Auditorium "Giancarlo De Carlo" del Monastero dei Benedettini.
Ho scelto di condividere con voi i primi dieci minuti del mio intervento di presentazione, perché rappresentano il mio modo di leggere e di affrontare i problemi che riguardano la vita del nostro Ateneo.
Ho intitolato questo post La necessità della concretezza, proprio perché ritengo che in questa campagna elettorale stia mancando la volontà di mettere a fuoco i problemi reali e di proporre delle soluzioni concrete, per puntare invece a discorsi generici, volti a catturare un consenso altrettanto generico e non impegnativo per nessuno, né per il candidato, né per l'elettore. Non possiamo permettercelo, siamo chiamati a cambiare, a sviluppare azioni adeguate per far fronte a una crisi reale che rischia di travolgerci. Il mio intervento, come ascolterete, è  basato su dati precisi, circostanziati, che indicano una strada percorribile, una strategia.

Vi ringrazio per l'attenzione.

Enrico Iachello



clicca qui per ascoltare il file audio




Auditorium "Giancarlo De Carlo" del Monastero dei Benedettini



martedì 5 febbraio 2013

Il CUN e la fiera delle promesse


Sta suscitando attenzione (per pietà, Rettore e candidato Vecchio, non lo inviate più: lo abbiamo avuto nella nostra mail, moltiplicato in invii ripetuti. Va bene, l'abbiamo ricevuto e letto; non è che l'invio multiplo produca effetti 'di rinforzo', al contrario, fa correre il rischio di saturazione) e molto scalpore il documento del CUN sulla situazione dell'Università italiana. E già questo potrebbe essere un merito: portare l'attenzione di un Paese 'distratto' da altre priorità sull'emergenza 'Università'.
Non c'è dubbio, la situazione dell'Università italiana è critica, drammatica. Le poche risorse che lo Stato investiva nel sistema universitario (poche, soprattutto se paragonate al resto dei Paesi europei) si sono ulteriormente assottigliate, ponendo il sistema in seria difficoltà. Occorre, tuttavia, ammettere – ed è difficile farlo da parte di chi opera quotidianamente all’interno del sistema universitario – che è il Paese a essere complessivamente più povero, un Paese che si trova a fare scelte tali da incidere sui bisogni primari della cittadinanza (dalla sanità, al sistema assistenziale nel suo complesso, alle pensioni) e che si pone il problema prioritario di salvaguardare posti di lavoro, rimettendo in discussione diritti che si ritenevano acquisiti per sempre e che ora da più parti si è spinti a ripensare. Non è allora semplice 'distrazione' – rispetto alle vicende universitarie – quella della pur miope classe politica nazionale (sempre più incapace di adottare strategie di lungo periodo). A meno di non volere raccontare favole – e lo stesso Bersani, cioè la sinistra, che dovrebbe essere più sensibile ai problemi dell’istruzione come fattore di mobilità sociale, lo dice chiaramente – il fatto è che ormai occorre definire un quadro complessivo di compatibilità finanziarie. In altri termini, se proponi investimenti ti devi misurare con la loro redditività e soprattutto devi indicare da dove si prendono, da dove si tolgono, le risorse per finanziarli. Questa è oggi la situazione reale. Lo stesso Berlusconi ha dovuto attrezzare in questo modo la sua retorica populista quando ha proposto di restituire in contanti (ridono ancora le fanciulle di Tracia) l'IMU versata dai contribuenti.
Sto cercando di dire che il documento del CUN rischia di approntare l'ennesimo alibi per il sistema universitario, in modo che la 'colpa' non sia mai nostra, ma degli altri, 'cattivi' per definizione. Che importa se dopo Berlusconi è arrivato Monti, un professore universitario? È al servizio delle banche si dice, e così lo si liquida. Ma Bersani? Cioè, la Sinistra con la S maiuscola? Ma vi ricordate Berlinguer (Luigi) e Mussi? Sono stati prodighi di investimenti per il mondo universitario (e non eravamo ancora con lo spread alle stelle, come poi è accaduto)? Non mi pare. Proviamo allora a riflettere con serietà e soprattutto proviamo a partire dalle nostre responsabilità, a meno di non voler mascherare con urla e strepiti le nostre incapacità.
Si mena scandalo per la diminuzione del numero degli iscritti. Certo, in un Paese che ha meno laureati rispetto agli altri Paesi d'Europa, il dato è segno anch'esso di declino. Ma, chiediamoci, da dove nasce questo fenomeno? Non è – come suggerisce, in un interessante articolo su «La Repubblica» del 1 febbraio, Tito Boeri – che si sta sgonfiando la 'bolla' delle iscrizioni alle lauree triennali? Queste avevano prodotto l'illusione di un titolo più a portata di mano per accedere al mercato del lavoro (e il fatto che la diminuzione sia quasi completamente a carico dei diplomati degli istituti professionali, cioè dei giovani dei ceti più disagiati, grida vendetta e rivela quasi il sadismo di un sistema che ha spacciato illussioni per riforme). Nulla di più falso. Colpa solo di chi le ha introdotte o colpa anche nostra che non riusciamo a pensare all'offerta formativa in termini connessi agli sbocchi lavorativi? Il basso numero di laureati inoltre non si lega con l'alto numero di fuori corso? A Catania, poi, è tra i più elevati d'Italia. Di chi la colpa? Del governo 'ladro'? Ma possiamo continuare a non metterci in discussione e a non assumerci le nostre responsabilità? Non dobbiamo ammettere che dovremmo dedicarci di più alla didattica e agli studenti? È più semplice gridare slogan, certo, e tutti 'mettiamo al centro lo studente'. Cambiare passo, no? Non dobbiamo investire risorse umane nel tentativo di recuperare gli studenti a un percorso di studio 'normale'?
Ci stiamo confrontando in una competizione per l'elezione del rettore. E che leggo nei programmi dei miei colleghi candidati? Vecchio propone la panacea delle fondazioni, come se non sapessimo che esse hanno un vero senso solo se attirano risorse private, cosa nel nostro territorio – e ora con questa crisi! – sempre difficilissima. Mentre la legge sulla spending review scoraggia il trasferimento di denaro pubblico alle fondazioni, avviene invece che la Regione Siciliana (governo Lombardo, quello stesso governo regionale che ha quasi azzerato i contributi per le biblioteche universitarie) concede un finanziamento per più di 3 milioni di euro all’Università di Catania, denari che dovrebbero, però, essere gestiti in buona parte proprio attraverso una fondazione, e per di più con riferimento ad attività per le quali certo non mancano competenze nei dipartimenti dell’Ateneo. Su tale questione, il Consiglio di amministrazione del nostro Ateneo, accogliendo unanime l’indicazione del collega Pietropaolo e mia, ha sollecitato il pieno coinvolgimento dei dipartimenti universitari, sottolineando che occorre instaurare con la Regione una proficua e corretta interlocuzione istituzionale, tale da consentire la definizione di linee di priorità strategiche per gli investimenti negli Atenei, al fine di assicurare i servizi essenziali (tra questi, l’acquisto dei libri, appunto). Che senso ha, allora, continuare a parlare di fondazioni, se poi a finanziarle è sempre il denaro pubblico, quello stesso denaro – invero sempre meno e che costa sempre più ‘lacrime e sangue’ al contribuente – che serve prioritariamente a supportare l’attività istituzionale dell’Università, la didattica dei corsi di studio e la ricerca, a partire da quella di base?
Per Pignataro la crisi non c'è, è come se non ci fosse; neppure intravede il rischio di non potere pagare gli stipendi nel 2014. Parla, piuttosto, di investimenti su tutto, dalla ricerca di base al pagamento sin dal primo credito per i ricercatori impegnati in attività didattiche, ma si dimentica di dire da dove ricava i milioni di euro necessari per farlo, all’interno di un bilancio di Ateneo sempre più in sofferenza a causa del crollo verticale del FFO. Pensa di garantire un sostegno adeguato ai corsi di dottorato soprattutto con risorse esterne (di chi? come? dove?), di 'dare nuova professionalità agli impiegati' perché svolgano un ruolo 'proattivo'. Ma con quali risorse, da dove prendiamo i denari? Prevede il collega, a onor del vero 'senza aggravio di costi', di impegnare alcuni docenti 'stabilmente' nella Scuola superiore. Ma se a breve non basteremo a sostenere la nostra offerta formativa in base ai criteri di accreditamento, come sarà possibile? La riduciamo? Non lo dice il collega.
Si, lo so, l’ho già detto, questo è il Paese dove è stata avanzata la ‘proposta choc’ di restituire in contanti l'IMU versata. Ma noi siamo l'Università, dovremmo almeno provare a non scimmiottare i peggiori esempi della demagogia elettorale. Di fronte alla dilagante fiera delle promesse, proviamo – almeno noi – a esercitare il coraggio della verità.
Enrico Iachello

domenica 27 gennaio 2013

Lettera aperta all'Assessore Scilabra sulla questione della formazione

Illustre Assessore,
la questione della 'formazione professionale' (forse si dovrebbe dire lo 'scandalo') si sta imponendo all'attenzione dell'opinione pubblica regionale grazie alle importanti e nette prese di posizione Sue e del Presidente della Regione. Indagini della magistratura, blocco dei fondi, trasferimento di gran parte dei dirigenti del settore segnano un crescendo quasi drammatico. Il rischio è però che la questione venga assorbita in una dimensione scandalistica che oscuri la riflessione sul merito del problema.
La sua azione può favorire, finalmente, un processo di radicale trasformazione di una settore di attività, certamente strategico per lo sviluppo della nostra Regione, che vede impegnati anche tanti onesti lavoratori, la cui posizione occupazionale va attentamente salvaguardata, che presenta però tutta una serie di guasti, noti purtroppo ormai da parecchio tempo, sia agli addetti ai lavori, sia ai cittadini più attenti ai problemi dell’Isola. È nota l'indagine condotta dalla Commissione speciale dell'Assemblea Regionale (2011); sono note, in particolare, le requisitorie della Corte dei Conti, che ripetutamente (2007, 2009, 2010) ha osservato che «i corsi in realtà servivano più agli enti che ai frequentanti», i quali li abbandonavano in alto numero (più del 30% di abbandoni nel 2008). In sostanza, i risultati raggiunti dal sistema della formazione professionale siciliana sono stati assai scarsi, sia dal punto di vista degli sbocchi occupazionali, sia da quello puramente formativo. Nelle sue conclusioni, la Commissione speciale dell’ARS notava: «in sostanza si può affermare che il sistema appare costituito sulla crescita esponenziale della spesa pubblica, indirizzato a creare posti di lavoro, a prescindere dalle esigenze effettive del mercato del lavoro e della qualità dei servizi erogati».
Ripensare la formazione, per ricondurla ai suoi veri scopi, richiede, a mio avviso, una ridefinizione radicale del settore. Tre i soggetti che possono svolgere un ruolo di protagonisti del cambiamento: le associazioni degli imprenditori, le associazioni sindacali e l'università. Ciascuno per il ruolo che gli è proprio, i tre soggetti dovrebbero essere immediatamente mobilitati se non si vuole che il processo si areni. Agli imprenditori e ai sindacati va richiesta la costruzione di un piano di formazione strettamente legato ai concreti bisogni del territorio e quindi alle reali opportunità di inserimento nel mondo del lavoro. Senza il pieno e responsabile coinvolgimento delle parti sociali lo spreco di risorse continuerà ineluttabile.
Anche l'università può fornire un efficace contributo alla costruzione di un nuovo sistema, finalmente efficiente, della formazione professionale in Sicilia. Alle istituzioni universitarie può, infatti, essere affidato l'accreditamento degli enti e il controllo di qualità dei corsi. Ciò, sulla base di valutazioni di natura esclusivamente scientifico-pedagogica, utilizzando al meglio quel patrimonio di sapere e di metodo che l’università, istituzionalmente, detiene e diffonde. Nella relazione della Commissione speciale dell'ARS si legge: «il degrado del sistema della formazione è dipeso anche da un sistema di accreditamento che ha consentito l’ingresso di soggetti privi di strutture adeguate, di esperienza e di professionalità misurabili. Il sistema di accreditamento è ancora oggi aperto a tutti, in quanto a tutti possono essere rilasciati “accreditamenti provvisori” che permettono la partecipazione ai bandi e l’erogazione dei finanziamenti regionali senza un minimo di verifica ispettiva, causando un accrescimento esponenziale del numero di enti provvisoriamente accreditati». La maggior parte degli enti di formazione in effetti agisce in regime di 'provvisorietà'.
Illustre Assessore, la mia proposta fa seguito a una precedente lettera aperta indirizzata al Presidente della Regione, all’indomani della sua elezione, con cui lo invitavo a considerare l'università una risorsa per il territorio. La 'formazione professionale' è il primo terreno concreto, credo, in cui può essere attivata una virtuosa sinergia istituzionale per aiutare la nostra Regione ad affrontare e risolvere i tanti gravi problemi che la attanagliano.
Confidando nella Sua attenzione, le porgo i miei più cordiali saluti.
Enrico Iachello

venerdì 25 gennaio 2013

Un nuovo rettore o il grande dittatore? Discutendo con Giacomo Pignataro


Lo scorso 7 dicembre, in un intervento pubblicato in questo stesso blog (dal titolo Docenza e amministrazione), rivolgevo un invito a tutti coloro che intendono candidarsi alla carica di rettore del nostro Ateneo, e in particolare al collega Giacomo Pignataro. Un invito ad approfondire l’analisi delle problematiche che caratterizzano l’attuale difficile fase del sistema universitario, ad analizzare a fondo il contenuto di una riforma che può non piacere, ma che è legge dello Stato e che pertanto va osservata, a tenere in assoluta considerazione lo stato decrescente delle risorse finanziarie, in particolare di quelle derivanti dalla fiscalità generale. Un invito, in sostanza, a evitare iniziative di stampo elettoralistico, di impronta meramente demagogica, volte a guadagnare consenso ingannando l’elettorato con un “libro dei sogni”. In sintesi, dicevo: «occorre, a tutti noi, fare i conti con la realtà; non si può provare a vincere raccontando le favole, perché poi non si governa, perché poi non si è in condizione di soddisfare in alcun modo coloro che ci hanno votato cavalcando l’onda emozionale di ‘proclami’ di per sé irrealizzabili, sia per vincoli di legge, sia per indisponibilità di risorse finanziarie».

Ho avuto modo di approfondire il contenuto e il senso del mio invito, rivolto ai potenziali candidati alla carica di rettore, in varie occasioni pubbliche e anche in un recente incontro vis-à-vis con il collega Pignataro. Mi era sembrato che l’amico Giacomo trovasse convincente e condivisibile il mio invito del 7 dicembre. Mi rendo conto che quell’invito sembra oggi essere caduto nel vuoto. Ma non dispero, e di fronte al proliferare, tanto incalzante quanto incontrollato, di ‘proclami’ provenienti dal collega, provo nuovamente a ripetere il mio ragionamento e confido in maggiore successo: repetita iuvant!

Rammento, anzitutto a me stesso, che di qui a un mese saremo chiamati a eleggere il nuovo rettore. Che si tratti del principale organo dell’Ateneo non v’è dubbio. Che si tratti di un ruolo di grande responsabilità e di assoluto prestigio, in particolare per ciò che concerne il coordinamento delle attività didattiche e scientifiche dell’Ateneo, non ci sarebbe neppure bisogno di dirlo. E però, come ho già avuto modo di osservare, con un motto di spirito, in una recente intervista, non stiamo andando a eleggere «né Robespierre, né Napoleone», né – tanto meno – stiamo pensando a una nuova caricatura del ‘grande dittatore’… per quella ci ha già pensato, con indiscusso successo, il mitico Charlie Chaplin.

Abbandonando la facezia, ciò che intendo sottolineare è che il ruolo del rettore è un ruolo delicatissimo, che richiede grande equilibrio, che non può non caratterizzarsi per la capacità di ‘fare squadra’, anzitutto con tutti gli altri organi dell’Ateneo, nel rispetto delle competenze per ciascuno di essi disegnate dalla legge di riforma e riprodotte nel nostro Statuto. Lo dico alla luce della lunga e formativa esperienza di coordinatore di un’importante e complessa struttura didattica (l’ex Facoltà di Lettere e Filosofia), un’esperienza che è certamente mancata al collega Pignataro; lo dico nell’interesse generale del nostro Ateneo: una ‘macchina’ complessa e articolata, che va guidata con saggezza, evitando logoranti contrapposizioni istituzionali, che certamente non aiutano ad affrontare l’attuale momento critico (per l’intero Paese e per il sistema universitario, in particolare), a superare i tanti problemi quotidiani con la necessaria concordia.

E veniamo alle incessanti proposte di riforma statutaria avanzate dal collega Pignataro, che a sommarle tutte fanno immaginare una prossima profonda ‘riscrittura’ del nostro Statuto, per di più secondo una linea in palese contrasto con tanti aspetti della legge di riforma. Torno a dire, e lo dico da consigliere di amministrazione oltre che da candidato alla carica di rettore: «non c’è in Italia alcuna forza politica, seriamente candidata al governo del Paese (basta leggere i programmi elettorali), che intenda porre mano, nell’immediato, a una profonda rimeditazione della riforma universitaria, e soprattutto che abbia in agenda una ‘controriforma’ della recente riforma, notoriamente bipartisan. Anche i ‘nostalgici’ se ne facciano una ragione; il lavoro che ora ci attende consiste nell’applicare al meglio la riforma, per trarre dalle nuove prassi che sapremo adottare un’opportunità di miglioramento del nostro ‘essere Università’. Ciò vale anche a livello locale: il nostro Ateneo ha attraversato – non senza scossoni – la stagione della riforma statutaria, voluta dalla legge Gelmini. Tale stagione ha impegnato tutti noi, ci ha appassionato e si è oggi ‘storicizzata’: non vedo negli organi di Ateneo a cui compete la revisione statutaria, il Senato accademico e il Consiglio di amministrazione, da poco eletti con le nuove regole e in carica sino al 2016 (e che hanno espresso a larghissima maggioranza piena fiducia al rettore per l’azione svolta nell’intero corso della riforma statutaria), alcuna frenesia di prodursi in un nuovo esercizio costituente. Il che mi sembra assai ragionevole, considerata la naturale ‘rigidità’ di ogni esperienza statutaria. Avviamoci, quindi, con convinzione, anche critica, nella pratica dell’Università riformata, trovando per tale via le soluzioni più adeguate al nostro agire quotidiano; evitiamo di avvitarci – com’è tipico della peggiore politica – in un perpetuo, e spesso inconcludente, discorso sulle regole del ‘gioco’. Piuttosto, sperimentiamole ‘giocando’: rimbocchiamoci le maniche, esercizio – questo sì – assai impellente in un momento così difficile per l’intera Nazione, mettendo sempre più impegno nel nostro lavoro, nella didattica, nella ricerca, nei servizi, per venire fuori dalla crisi, presto e bene, per provare ad avviare nuovi percorsi di crescita, superando le tante difficoltà congiunturali che oggi ‘ingessano’ l’azione del nostro Ateneo. Ci sarà tempo, esaurita la sperimentazione, per ritornare a discutere delle regole (ivi comprese le norme statutarie che disciplinano le modalità di scelta dei consiglieri di amministrazione) e per correggere quelle che hanno fatto peggiore prova».
Anche il collega Pignataro se ne faccia una ragione, ma soprattutto lo comprendano quei suoi eventuali elettori, che intendessero ancora esprimergli il loro consenso perché si aspettano un’immediata riscrittura dello Statuto, che non potrà esserci per le ragioni sopra illustrate.

Quanto poi alla ‘rivoluzione organizzativa’ prospettata dal collega Pignataro, anche in questo caso rinvio al mio documento del 7 dicembre 2012. Troverete lì le ragioni normative che hanno prodotto la riorganizzazione amministrativa del marzo 2012; sempre lì, gli indiscutibili vantaggi che da essa sono derivati a salvaguardia dell’equilibrio di bilancio; il contributo che la stessa ha dato per la valorizzazione professionale del personale tecnico-amministrativo, componente fondamentale della nostra comunità universitaria; le proposte concrete, praticabili sia dal punto di vista normativo, sia in termini di copertura finanziaria, volte a superare le criticità che il nuovo modello organizzativo ha fatto emergere, ma senza «scomodarci in riforme statutarie, che rischiano soltanto di rallentare i processi, condannandoci a un’infinita transizione, per ripristinare le ‘segreterie amministrative dei dipartimenti’ del tempo che fu e l’afferenza (invero mai prevista) del personale tecnico-amministrativo ai dipartimenti».
Invito il collega Pignataro a dare uno sguardo a tali proposte, considerando anche che si tratta di tematiche, strettamente connesse alla complessiva gestione e organizzazione dei servizi, delle risorse strumentali e del personale tecnico-amministrativo dell’Ateneo, certamente affidate dal legislatore (quello della riforma universitaria, ma anche quello del testo unico sul pubblico impiego) a competenze diverse rispetto a quelle rettorali, che vedono principalmente coinvolti il management universitario (la dirigenza e, in particolare, il direttore generale) sulla base degli indirizzi forniti dal consiglio di amministrazione.
A meno che il prof. Pignataro non intenda proporsi per la carica di direttore generale, ma forse preferirebbe addirittura quella di amministratore unico dell’Ateneo! Premesso che la carica di direttore generale è già coperta per i prossimi anni, con ottimo apprezzamento da parte degli altri organi di Ateneo, il collega Pignataro sembra proporsi come un direttore purtroppo affetto da qualche forma di ‘strabismo’: sembra cioè troppo sensibile alle pretese restauratrici, non del sindacato – istituzione nobile e imprescindibile, soprattutto in un momento di complessiva crisi del Paese – bensì di qualche poco apprezzabile dirigente sindacale, che forse vive ancora il rammarico di avere perso le ‘rendite di posizione’ godute in passato; risulta, invece, assai poco attento alle esigenze reali dei lavoratori e alla salvaguardia dell’occupazione. Ciò vale, anzitutto, per i tanti lavoratori che l’Ateneo ha avviato in questi anni verso la definitiva fuoriuscita dal precariato (e mi duole ricordare che la prima delibera in tal senso del Consiglio di amministrazione, quella riguardante il personale TD, assunta il 7 settembre 2010, non trovò il voto favorevole dei rappresentanti del personale tecnico-amministrativo che facevano parte di quel Consiglio, ma forse è più corretto indicarli quali sindacalisti della CISL e della UIL) . Lo dico a chiare lettere, senza mezzi termini: i processi di stabilizzazione che riguardano il personale TD e il personale PUC, ma anche il personale LSU (ivi compresi i lavoratori ex Coem e Marketing Sud) e gli operai agricoli vanno condotti a termine, per tutti i lavoratori interessati, senza se e senza ma. Come ho già avuto modo di dire, tale ambizioso progetto (più unico che raro in questa fase storica di ristrettezze economiche), condotto coraggiosamente dall’Ateneo in sintonia con le organizzazioni sindacali, a partire dalla CGIL, è reso possibile dalle economie prodotte «dal trasferimento a carico del servizio sanitario del personale impiegato dal Policlinico. La vertenza con la Regione Siciliana assume a questo punto i connotati di una ‘battaglia di sopravvivenza’, nell’interesse dei precari dell’Ateneo, che attendono di essere stabilizzati, e dell’Ateneo nel suo complesso, che può trarre linfa vitale per il suo sviluppo. Al nuovo Governo regionale questa situazione va rappresentata con la massima urgenza: ne va della vita del sistema universitario regionale».

Rivolgo, infine, un ultimo suggerimento al collega Pignataro, con riferimento alla sua proposta, lanciata alle ricercatrici e ai ricercatori dell’Università di Catania, concernente un fantomatico «processo di chiamata diretta degli abilitati (ai sensi dell’articolo 29 comma 4 della legge 240/2010, e poi del D.M. 15/12/2011 e sgg.)». Che il prof. Pignataro non sia un giurista ce lo ha ricordato lui stesso in una recente intervista. Neanche io sono un giurista, ma proprio per questo, prima di avventurarmi in proposte, che magari finiscono col produrre mal riposte aspettative, mi consulto con i giuristi, con gli addetti ai lavori, provando a ‘fare squadra’ anche con loro. Ebbene, mi creda il prof. Pignataro, l’art. 29, comma 4, della legge 240/2010 non c’entra proprio niente con i ricercatori che conseguiranno l’abilitazione scientifica nazionale per professore associato, riguardando invero gli idonei nelle valutazioni comparative ai sensi della legge 210/1998, e comunque prima dell’entrata in vigore dei regolamenti di Ateneo in materia di procedure di chiamata.
I ricercatori a tempo indeterminato del nostro Ateneo, che conseguiranno l’abilitazione scientifica nazionale, potranno tuttavia godere di una procedura diversa da quella “di chiamata”, che dicesi procedura “di valutazione”, e non perché lo proclama il prof. Pignataro, bensì perché è prevista dall’ordinamento (art. 24, commi 5 e 6, della legge 240/2010 e D.M. 4 agosto 2011, n. 344), è espressamente citata nel recentissimo decreto interministeriale del 28 dicembre 2012 (in materia di piano straordinario per la chiamata di professori di seconda fascia), è perfettamente nota al Consiglio di amministrazione.
Enrico Iachello

domenica 20 gennaio 2013

Riflessioni e proposte su ricercatori a tempo indeterminato e personale tecnico-amministrativo precario


La questione dei ricercatori pre-riforma Gelmini (oggi si prevede un altro status, con la fine del reclutamento di ricercatori a tempo indeterminato) ha costituito e costituisce un tema ‘caldo’, che è opportuno affrontare con chiarezza se si vuole davvero ridefinire l'identità del nostro Ateneo in un progetto di sviluppo territoriale. È importante provare a ricompattare le nostre forze, risolvendo alcuni nodi delicati che riguardano il personale docente. La questione dei ricercatori non può più essere elusa perché rischia di trasformarsi in un pantano destinato a rendere più acuti i problemi. La questione è emersa, a mio avviso in modo errato, a partire dal presunto obbligo del compenso da corrispondere al ricercatore impegnato in attività didattica (il ruolo non prevede la tenuta di un corso di insegnamento come compito istituzionale obbligatorio). Dobbiamo, credo, evitare un approccio 'moralistico' o comunque astratto e riflettere sui processi concreti che hanno fatto sì che gran parte dei ricercatori a tempo indeterminato siano stati chiamati negli anni a svolgere compiti didattici fondamentali per gli Atenei. In molti casi si tratta di insegnamenti che hanno reso possibile il mantenimento dell'offerta formativa altrimenti irrealizzabile a causa del blocco del turn over. Faccio un esempio: a breve, nell'ex facoltà di Lettere e Filosofia, a causa dei pensionamenti, non ci sarà un professore di Letteratura greca, ma un ricercatore. Tutti ci auguriamo che le abilitazioni nazionali portino a sanare questa situazione, ma nell'attesa? Dovremo confidare nella disponibilità del ricercatore, che fortunatamente, nel caso, assicura il suo impegno didattico.
L'esempio dovrebbe servire a far comprendere la complessità del problema che ci sta di fronte e a evitare di affrontarlo appunto con facili moralismi o proclami di principio per poi essere costretti però a imboccare vie di fuga di emergenza.
Nel nostro Ateneo la questione è sembrata, come accennavo, ridursi esclusivamente al pagamento o meno degli insegnamenti svolti dai ricercatori. È solo un aspetto, e non il più urgente, della questione (fermo restando che non c’è affatto nulla di male – compatibilmente con le disponibilità di bilancio, oggi invero assai esigue – nel prevedere un riconoscimento economico per i colleghi responsabilmente impegnati nell’assolvimento di un maggiore carico didattico). Parlando con i colleghi ricercatori mi sono reso conto che molti di essi sarebbero disposti a svolgere senza alcuna retribuzione aggiuntiva questa attività didattica (e nei fatti molti hanno sottoscritto una dichiarazione in cui affermano la disponibilità a rinunciare al compenso). La questione è in effetti un'altra, ed è il riconoscimento della funzione di 'professore' che dia piena gratificazione professionale a una componente fondamentale della docenza universitaria. Facile a dirsi, difficile a farsi. E tuttavia questo resta il vero nodo se non vogliamo lasciare in sofferenza parte consistente dei colleghi ed essere costretti a ridurre drasticamente la nostra offerta formativa.
Occorre affrontare e sciogliere questo nodo e prevedere, sia pure nei limiti attualmente consentiti dalla crisi finanziaria e senza sconvolgere la gerarchia accademica (cioè la distinzione per fasce che significa un percorso di carriera meritocratico senza il quale l'Università perde la sua identità), questo riconoscimento. Se si accoglie questa posizione come ragionevole scelta politica ormai ineludibile, la soluzione 'tecnica', nei binari sopra enunciati, si potrà trovare, magari istituendo una terza fascia di ricercatori-professori. Ovviamente non è soluzione di carattere 'locale', ma la Conferenza dei rettori potrebbe metterla all'ordine del giorno. Non si tratta, va ribadito, di mettere in discussione la meritocrazia, o di inventare sanatorie e simili. Si tratta di legittimare un processo ormai storicamente consolidato per consentire all'università di affrontare con serenità e maggior compattezza tra le varie componenti i problemi che la crisi del Paese ci costringe ad affrontare. Non sono un 'tecnico', ma ribadisco il convincimento che la scelta 'politica' sia importante e da qui bisognerebbe avviare il confronto con il Ministero. Ovviamente, in tal modo la palla sembra rinviata al 'centro', inutile nasconderselo, e poiché il gioco non mi attira (e potrebbe evidentemente apparire solo una mossa 'elettorale'), mi chiedo intanto cosa possa farsi a livello locale, cioè nel nostro Ateneo. A me pare percorribile un’ipotesi che, facendosi forte del principio della continuità didattica, riconosca di fatto una 'titolarità' dell'insegnamento al ricercatore che l'ha tenuto per un certo numero di anni (cinque, ad esempio). Gli organi dell'Ateneo, Senato Accademico e Consiglio di Amministrazione, potrebbero deliberare in tal senso, invitando i dipartimenti a tenerne conto nella programmazione dell'offerta formativa e dei compiti didattici. Non credo che manchino nei fatti gli strumenti per rendere l'indicazione 'concreta'. Si avrebbe così, in attesa di una risposta del legislatore, un riconoscimento di fatto della funzione di 'professore', ovviamente con l'accordo del singolo ricercatore, che accetterebbe nei fatti l'insegnamento come proprio compito istituzionale.

Analogamente, mi limito per adesso a un accenno, in una logica di compiuta valorizzazione di tutte le componenti della comunità universitaria, bisognerà affrontare la questione del personale tecnico-amministrativo, per favorire una piena sinergia tra chi, nell’Università, è impegnato direttamente nell’attività didattica e di ricerca e chi supporta tale attività assicurando i servizi. Ciò, a partire dal problema del precariato e della sua stabilizzazione. Superando mille difficoltà, giuridiche ed economiche, l’Ateneo si sta già muovendo in questa direzione (è notizia recente l’immissione in ruolo, a tempo indeterminato, dei primi 10 lavoratori PUC; nuove stabilizzazioni di lavoratori TD e PUC sono già state deliberate dal Consiglio di amministrazione; una soluzione di maggiore serenità è stata individuata, in sinergia con la Prefettura e con le Organizzazioni sindacali, anche per i lavoratori ex Coem ed ex Marketing Sud). Ma occorre insistere, assicurare continuità all’azione già intrapresa. Ebbene, anche per risolvere questa questione occorre una scelta chiara ed equa, che miri a garantire tutti e che possa, pertanto, essere da tutti responsabilmente condivisa: mantenere una corretta proporzione nella destinazione dei punti organico che si liberano per cessazioni e pensionamenti (pur nella riduzione consistente del turn over che è stata imposta dalle recenti norme di legge in materia di spending review), salvaguardando il settore di provenienza delle cessazioni (settore tecnico-amministrativo e corpo docente), per rendere via via possibili stabilizzazioni e reclutamenti.

Enrico Iachello