giovedì 31 gennaio 2013
domenica 27 gennaio 2013
Lettera aperta all'Assessore Scilabra sulla questione della formazione
Illustre
Assessore,
la
questione della 'formazione professionale' (forse si dovrebbe dire lo
'scandalo') si sta imponendo all'attenzione dell'opinione pubblica
regionale grazie alle importanti e nette prese di posizione Sue e del
Presidente della Regione. Indagini della magistratura, blocco dei
fondi, trasferimento di gran parte dei dirigenti del settore segnano
un crescendo quasi drammatico. Il rischio è però che la questione
venga assorbita in una dimensione scandalistica che oscuri la
riflessione sul merito del problema.
La
sua azione può favorire, finalmente, un processo di radicale
trasformazione di una settore di attività, certamente strategico per
lo sviluppo della nostra Regione, che vede impegnati anche tanti
onesti lavoratori, la cui posizione occupazionale va attentamente
salvaguardata, che presenta però tutta una serie di guasti, noti
purtroppo ormai da parecchio tempo, sia agli addetti ai lavori, sia
ai cittadini più attenti ai problemi dell’Isola. È nota
l'indagine condotta dalla Commissione speciale dell'Assemblea
Regionale (2011); sono note, in particolare, le requisitorie della
Corte dei Conti, che ripetutamente (2007, 2009, 2010) ha osservato
che «i corsi in realtà servivano più agli enti che ai
frequentanti», i quali li abbandonavano in alto numero (più del
30% di abbandoni nel 2008). In sostanza, i risultati raggiunti dal
sistema della formazione professionale siciliana sono stati assai
scarsi, sia dal punto di vista degli sbocchi occupazionali, sia da
quello puramente formativo. Nelle sue conclusioni, la Commissione
speciale dell’ARS notava: «in sostanza si può affermare che
il sistema appare costituito sulla crescita esponenziale della spesa
pubblica, indirizzato a creare posti di lavoro, a prescindere dalle
esigenze effettive del mercato del lavoro e della qualità dei
servizi erogati».
Ripensare
la formazione, per ricondurla ai suoi veri scopi, richiede, a mio
avviso, una ridefinizione radicale del settore. Tre i soggetti che
possono svolgere un ruolo di protagonisti del cambiamento: le
associazioni degli imprenditori, le associazioni sindacali e
l'università. Ciascuno per il ruolo che gli è proprio, i tre
soggetti dovrebbero essere immediatamente mobilitati se non si vuole
che il processo si areni. Agli imprenditori e ai sindacati va
richiesta la costruzione di un piano di formazione strettamente
legato ai concreti bisogni del territorio e quindi alle reali
opportunità di inserimento nel mondo del lavoro. Senza il pieno e
responsabile coinvolgimento delle parti sociali lo spreco di risorse
continuerà ineluttabile.
Anche
l'università può fornire un efficace contributo alla costruzione
di un nuovo sistema, finalmente efficiente, della formazione
professionale in Sicilia. Alle istituzioni universitarie può,
infatti, essere affidato l'accreditamento degli enti e il controllo
di qualità dei corsi. Ciò, sulla base di valutazioni di
natura esclusivamente scientifico-pedagogica, utilizzando al meglio
quel patrimonio di sapere e di metodo che l’università,
istituzionalmente, detiene e diffonde. Nella relazione della
Commissione speciale dell'ARS si legge: «il degrado del sistema
della formazione è dipeso anche da un sistema di accreditamento che
ha consentito l’ingresso di soggetti privi di strutture adeguate,
di esperienza e di professionalità misurabili. Il sistema di
accreditamento è ancora oggi aperto a tutti, in quanto a tutti
possono essere rilasciati “accreditamenti provvisori” che
permettono la partecipazione ai bandi e l’erogazione dei
finanziamenti regionali senza un minimo di verifica ispettiva,
causando un accrescimento esponenziale del numero di enti
provvisoriamente accreditati». La maggior parte degli enti di
formazione in effetti agisce in regime di 'provvisorietà'.
Illustre
Assessore, la mia proposta fa seguito a una precedente lettera
aperta indirizzata al Presidente della Regione, all’indomani della
sua elezione, con cui lo invitavo a considerare l'università una
risorsa per il territorio. La 'formazione professionale' è il primo
terreno concreto, credo, in cui può essere attivata una virtuosa
sinergia istituzionale per aiutare la nostra Regione ad affrontare e
risolvere i tanti gravi problemi che la attanagliano.
Confidando
nella Sua attenzione, le porgo i miei più cordiali saluti.
Enrico
Iachello
venerdì 25 gennaio 2013
Un nuovo rettore o il grande dittatore? Discutendo con Giacomo Pignataro
Lo
scorso 7 dicembre, in un intervento pubblicato in questo stesso blog
(dal titolo Docenza e amministrazione),
rivolgevo un invito a tutti coloro che intendono candidarsi alla
carica di rettore del nostro Ateneo, e in particolare al collega
Giacomo Pignataro. Un invito ad approfondire l’analisi delle
problematiche che caratterizzano l’attuale difficile fase del
sistema universitario, ad analizzare a fondo il contenuto di una
riforma che può non piacere, ma che è legge dello Stato e che
pertanto va osservata, a tenere in assoluta considerazione lo stato
decrescente delle risorse finanziarie, in particolare di quelle
derivanti dalla fiscalità generale. Un invito, in sostanza, a
evitare iniziative di stampo elettoralistico, di impronta meramente
demagogica, volte a guadagnare consenso ingannando l’elettorato con
un “libro dei sogni”. In sintesi, dicevo: «occorre,
a tutti noi, fare i conti con la realtà; non si può provare a
vincere raccontando le favole, perché poi non si governa, perché
poi non si è in condizione di soddisfare in alcun modo coloro che ci
hanno votato cavalcando l’onda emozionale di ‘proclami’ di per
sé irrealizzabili, sia per vincoli di legge, sia per indisponibilità
di risorse finanziarie».
Ho
avuto modo di approfondire il contenuto e il senso del mio invito,
rivolto ai potenziali candidati alla carica di rettore, in varie
occasioni pubbliche e anche in un recente incontro vis-à-vis
con il collega Pignataro. Mi era sembrato che l’amico Giacomo
trovasse convincente e condivisibile il mio invito del 7 dicembre. Mi
rendo conto che quell’invito sembra oggi essere caduto nel vuoto.
Ma non dispero, e di fronte al proliferare, tanto incalzante quanto
incontrollato, di ‘proclami’ provenienti dal collega, provo
nuovamente a ripetere il mio ragionamento e confido in maggiore
successo: repetita iuvant!
Rammento, anzitutto a me
stesso, che di qui a un mese saremo chiamati a eleggere il nuovo
rettore. Che si tratti del principale organo dell’Ateneo non v’è
dubbio. Che si tratti di un ruolo di grande responsabilità e di
assoluto prestigio, in particolare per ciò che concerne il
coordinamento delle attività didattiche e scientifiche dell’Ateneo,
non ci sarebbe neppure bisogno di dirlo. E però, come ho già avuto
modo di osservare, con un motto di spirito, in una recente
intervista, non stiamo andando a eleggere «né Robespierre, né
Napoleone», né – tanto meno – stiamo pensando a una nuova
caricatura del ‘grande dittatore’… per quella ci ha già
pensato, con indiscusso successo, il mitico Charlie Chaplin.
Abbandonando la facezia,
ciò che intendo sottolineare è che il ruolo del rettore è un ruolo
delicatissimo, che richiede grande equilibrio, che non può non
caratterizzarsi per la capacità di ‘fare squadra’, anzitutto con
tutti gli altri organi dell’Ateneo, nel rispetto delle competenze
per ciascuno di essi disegnate dalla legge di riforma e riprodotte
nel nostro Statuto. Lo dico alla luce della lunga e formativa
esperienza di coordinatore di un’importante e complessa struttura
didattica (l’ex Facoltà di Lettere e Filosofia), un’esperienza
che è certamente mancata al collega Pignataro; lo dico
nell’interesse generale del nostro Ateneo: una ‘macchina’
complessa e articolata, che va guidata con saggezza, evitando
logoranti contrapposizioni istituzionali, che certamente non aiutano
ad affrontare l’attuale momento critico (per l’intero Paese e per
il sistema universitario, in particolare), a superare i tanti
problemi quotidiani con la necessaria concordia.
E
veniamo alle incessanti proposte di riforma statutaria avanzate dal
collega Pignataro, che a sommarle tutte fanno immaginare una prossima
profonda ‘riscrittura’ del nostro Statuto, per di più secondo
una linea in palese contrasto con tanti aspetti della legge di
riforma. Torno a dire, e lo dico da consigliere di amministrazione
oltre che da candidato alla carica di rettore: «non c’è in Italia
alcuna forza politica, seriamente candidata al governo del Paese
(basta leggere i programmi elettorali),
che intenda porre mano, nell’immediato, a una profonda
rimeditazione della riforma universitaria, e soprattutto che abbia in
agenda una ‘controriforma’ della recente riforma, notoriamente
bipartisan.
Anche i ‘nostalgici’ se ne facciano una ragione; il lavoro che
ora ci attende consiste nell’applicare al meglio la riforma, per
trarre dalle nuove prassi che sapremo adottare un’opportunità di
miglioramento del nostro ‘essere Università’. Ciò vale anche a
livello locale: il nostro Ateneo ha attraversato – non senza
scossoni – la stagione della riforma statutaria, voluta dalla legge
Gelmini. Tale stagione ha impegnato tutti noi, ci ha appassionato e
si è oggi ‘storicizzata’: non vedo
negli organi di Ateneo a cui compete la revisione statutaria, il
Senato accademico e il Consiglio di amministrazione, da poco eletti
con le nuove regole e in carica sino al 2016 (e che hanno espresso a
larghissima maggioranza piena fiducia al rettore per l’azione
svolta nell’intero corso della riforma statutaria), alcuna frenesia
di prodursi in un nuovo esercizio costituente. Il che mi sembra assai
ragionevole, considerata la naturale ‘rigidità’ di ogni
esperienza statutaria. Avviamoci,
quindi, con convinzione, anche critica, nella pratica dell’Università
riformata, trovando per tale via le soluzioni più adeguate al nostro
agire quotidiano; evitiamo di avvitarci – com’è tipico della
peggiore politica – in un perpetuo, e spesso inconcludente,
discorso sulle regole del ‘gioco’. Piuttosto, sperimentiamole
‘giocando’: rimbocchiamoci le maniche, esercizio – questo sì –
assai impellente in un momento così difficile per l’intera
Nazione, mettendo sempre più impegno nel nostro lavoro, nella
didattica, nella ricerca, nei servizi, per venire fuori dalla crisi,
presto e bene, per provare ad avviare nuovi percorsi di crescita,
superando le tante difficoltà congiunturali che oggi ‘ingessano’
l’azione del nostro Ateneo. Ci sarà tempo, esaurita la
sperimentazione, per ritornare a discutere delle regole (ivi comprese
le norme statutarie che disciplinano le modalità di scelta dei
consiglieri di amministrazione) e per correggere quelle che hanno
fatto peggiore prova».
Anche il collega
Pignataro se ne faccia una ragione, ma soprattutto lo comprendano
quei suoi eventuali elettori, che intendessero ancora esprimergli il
loro consenso perché si aspettano un’immediata riscrittura dello
Statuto, che non potrà esserci per le ragioni sopra illustrate.
Quanto poi alla
‘rivoluzione organizzativa’ prospettata dal collega Pignataro,
anche in questo caso rinvio al mio documento del 7 dicembre 2012.
Troverete lì le ragioni normative che hanno prodotto la
riorganizzazione amministrativa del marzo 2012; sempre lì, gli
indiscutibili vantaggi che da essa sono derivati a salvaguardia
dell’equilibrio di bilancio; il contributo che la stessa ha dato
per la valorizzazione professionale del personale
tecnico-amministrativo, componente fondamentale della nostra comunità
universitaria; le proposte concrete, praticabili sia dal punto di
vista normativo, sia in termini di copertura finanziaria, volte a
superare le criticità che il nuovo modello organizzativo ha fatto
emergere, ma senza «scomodarci in riforme statutarie, che rischiano
soltanto di rallentare i processi, condannandoci a un’infinita
transizione, per ripristinare le ‘segreterie amministrative dei
dipartimenti’ del tempo che fu e l’afferenza (invero mai
prevista) del personale tecnico-amministrativo ai dipartimenti».
Invito il collega
Pignataro a dare uno sguardo a tali proposte, considerando anche che
si tratta di tematiche, strettamente connesse alla complessiva
gestione e organizzazione dei servizi, delle risorse strumentali e
del personale tecnico-amministrativo dell’Ateneo, certamente
affidate dal legislatore (quello della riforma universitaria, ma
anche quello del testo unico sul pubblico impiego) a competenze
diverse rispetto a quelle rettorali, che vedono principalmente
coinvolti il management universitario (la dirigenza e, in
particolare, il direttore generale) sulla base degli indirizzi
forniti dal consiglio di amministrazione.
A meno
che il prof. Pignataro non intenda proporsi per la carica di
direttore generale, ma forse preferirebbe addirittura quella di
amministratore unico dell’Ateneo! Premesso che la carica di
direttore generale è già coperta per i prossimi anni, con ottimo
apprezzamento da parte degli altri organi di Ateneo, il collega
Pignataro sembra proporsi come un direttore purtroppo affetto da
qualche forma di ‘strabismo’: sembra cioè troppo sensibile alle
pretese restauratrici, non del sindacato – istituzione nobile e
imprescindibile, soprattutto in un momento di complessiva crisi del
Paese – bensì di qualche poco apprezzabile dirigente sindacale,
che forse vive ancora il rammarico di avere perso le ‘rendite di
posizione’ godute in passato; risulta, invece, assai poco attento
alle esigenze reali dei lavoratori e alla salvaguardia
dell’occupazione. Ciò vale, anzitutto, per i tanti lavoratori che
l’Ateneo ha avviato in questi anni verso la definitiva fuoriuscita
dal precariato (e mi duole ricordare che la prima delibera in tal
senso del Consiglio di amministrazione, quella riguardante il
personale TD, assunta il 7 settembre 2010, non trovò il voto
favorevole dei rappresentanti del personale tecnico-amministrativo
che facevano parte di quel Consiglio, ma forse è più corretto
indicarli quali sindacalisti della CISL e della UIL) . Lo dico a
chiare lettere, senza mezzi termini: i processi di stabilizzazione
che riguardano il personale TD e il personale PUC, ma anche il
personale LSU (ivi compresi i lavoratori ex Coem e Marketing Sud) e
gli operai agricoli vanno condotti a termine, per tutti i lavoratori
interessati, ‘senza se e senza ma’.
Come ho già avuto modo di dire, tale ambizioso progetto (più unico
che raro in questa fase storica di ristrettezze economiche), condotto
coraggiosamente dall’Ateneo in sintonia con le organizzazioni
sindacali, a partire dalla CGIL, è reso possibile dalle economie
prodotte «dal trasferimento a carico del servizio sanitario del
personale impiegato dal Policlinico. La
vertenza con la Regione Siciliana assume a questo punto i connotati
di una ‘battaglia di sopravvivenza’, nell’interesse dei precari
dell’Ateneo, che attendono di essere stabilizzati, e dell’Ateneo
nel suo complesso, che può trarre linfa vitale per il suo sviluppo.
Al nuovo Governo regionale questa situazione va rappresentata con la
massima urgenza: ne va della vita del sistema universitario
regionale».
Rivolgo, infine, un
ultimo suggerimento al collega Pignataro, con riferimento alla sua
proposta, lanciata alle ricercatrici e ai ricercatori dell’Università
di Catania, concernente un fantomatico «processo di chiamata diretta
degli abilitati (ai sensi dell’articolo 29 comma 4 della legge
240/2010, e poi del D.M. 15/12/2011 e sgg.)». Che il prof. Pignataro
non sia un giurista ce lo ha ricordato lui stesso in una recente
intervista. Neanche io sono un giurista, ma proprio per questo, prima
di avventurarmi in proposte, che magari finiscono col produrre mal
riposte aspettative, mi consulto con i giuristi, con gli addetti ai
lavori, provando a ‘fare squadra’ anche con loro. Ebbene, mi
creda il prof. Pignataro, l’art. 29, comma 4, della legge 240/2010
non c’entra proprio niente con i ricercatori che conseguiranno
l’abilitazione scientifica nazionale per professore associato,
riguardando invero gli idonei nelle valutazioni comparative ai sensi
della legge 210/1998, e comunque prima dell’entrata in vigore dei
regolamenti di Ateneo in materia di procedure di chiamata.
I ricercatori a tempo
indeterminato del nostro Ateneo, che conseguiranno l’abilitazione
scientifica nazionale, potranno tuttavia godere di una procedura
diversa da quella “di chiamata”, che dicesi procedura “di
valutazione”, e non perché lo proclama il prof. Pignataro, bensì
perché è prevista dall’ordinamento (art. 24, commi 5 e 6, della
legge 240/2010 e D.M. 4 agosto 2011, n. 344), è espressamente citata
nel recentissimo decreto interministeriale del 28 dicembre 2012 (in
materia di piano straordinario per la chiamata di professori di
seconda fascia), è perfettamente nota al Consiglio di
amministrazione.
Enrico Iachello
martedì 22 gennaio 2013
Intervista su Sudpress
Intervista rilasciata dal candidato Enrico Iachello a Sudpress
Per guardare l'intervista video, clicca qui: http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=Y8BsVdHJn88&t=49
Per leggere invece il testo, a firma di Vincenzo Barbagallo, clicca qui: http://www.sudpress.it/sud/il-prof-iachello-sud-concentrarsi-su-didattica-e-ricerca
domenica 20 gennaio 2013
Riflessioni e proposte su ricercatori a tempo indeterminato e personale tecnico-amministrativo precario
La
questione dei ricercatori pre-riforma Gelmini (oggi si prevede un
altro status, con la fine del reclutamento di ricercatori a tempo
indeterminato) ha costituito e costituisce un tema ‘caldo’, che è
opportuno affrontare con chiarezza se si vuole davvero ridefinire
l'identità del nostro Ateneo in un progetto di sviluppo
territoriale. È importante provare a ricompattare le nostre forze,
risolvendo alcuni nodi delicati che riguardano il personale docente.
La questione dei ricercatori non può più essere elusa perché
rischia di trasformarsi in un pantano destinato a rendere più acuti
i problemi. La questione è emersa, a mio avviso in modo errato, a
partire dal presunto obbligo del compenso da corrispondere al
ricercatore impegnato in attività didattica (il ruolo non prevede la
tenuta di un corso di insegnamento come compito istituzionale
obbligatorio). Dobbiamo, credo, evitare un approccio 'moralistico' o
comunque astratto e riflettere sui processi concreti che hanno fatto
sì che gran parte dei ricercatori a tempo indeterminato siano stati
chiamati negli anni a svolgere compiti didattici fondamentali per gli
Atenei. In molti casi si tratta di insegnamenti che hanno reso
possibile il mantenimento dell'offerta formativa altrimenti
irrealizzabile a causa del blocco del turn over. Faccio un
esempio: a breve, nell'ex facoltà di Lettere e Filosofia, a causa
dei pensionamenti, non ci sarà un professore di Letteratura greca,
ma un ricercatore. Tutti ci auguriamo che le abilitazioni nazionali
portino a sanare questa situazione, ma nell'attesa? Dovremo confidare
nella disponibilità del ricercatore, che fortunatamente, nel caso,
assicura il suo impegno didattico.
L'esempio
dovrebbe servire a far comprendere la complessità del problema che
ci sta di fronte e a evitare di affrontarlo appunto con facili
moralismi o proclami di principio per poi essere costretti però a
imboccare vie di fuga di emergenza.
Nel
nostro Ateneo la questione è sembrata, come accennavo, ridursi
esclusivamente al pagamento o meno degli insegnamenti svolti dai
ricercatori. È solo un aspetto, e non il più urgente, della
questione (fermo restando che non c’è affatto nulla di male –
compatibilmente con le disponibilità di bilancio, oggi invero assai
esigue – nel prevedere un riconoscimento economico per i colleghi
responsabilmente impegnati nell’assolvimento di un maggiore carico
didattico). Parlando con i colleghi ricercatori mi sono reso conto
che molti di essi sarebbero disposti a svolgere senza alcuna
retribuzione aggiuntiva questa attività didattica (e nei fatti molti
hanno sottoscritto una dichiarazione in cui affermano la
disponibilità a rinunciare al compenso). La questione è in effetti
un'altra, ed è il riconoscimento della funzione di 'professore' che
dia piena gratificazione professionale a una componente fondamentale
della docenza universitaria. Facile a dirsi, difficile a farsi. E
tuttavia questo resta il vero nodo se non vogliamo lasciare in
sofferenza parte consistente dei colleghi ed essere costretti a
ridurre drasticamente la nostra offerta formativa.
Occorre
affrontare e sciogliere questo nodo e prevedere, sia pure nei limiti
attualmente consentiti dalla crisi finanziaria e senza sconvolgere la
gerarchia accademica (cioè la distinzione per fasce che significa un
percorso di carriera meritocratico senza il quale l'Università perde
la sua identità), questo riconoscimento. Se si accoglie questa
posizione come ragionevole scelta politica ormai ineludibile, la
soluzione 'tecnica', nei binari sopra enunciati, si potrà trovare,
magari istituendo una terza fascia di ricercatori-professori.
Ovviamente non è soluzione di carattere 'locale', ma la Conferenza
dei rettori potrebbe metterla all'ordine del giorno. Non si tratta,
va ribadito, di mettere in discussione la meritocrazia, o di
inventare sanatorie e simili. Si tratta di legittimare un processo
ormai storicamente consolidato per consentire all'università di
affrontare con serenità e maggior compattezza tra le varie
componenti i problemi che la crisi del Paese ci costringe ad
affrontare. Non sono un 'tecnico', ma ribadisco il convincimento che
la scelta 'politica' sia importante e da qui bisognerebbe avviare il
confronto con il Ministero. Ovviamente, in tal modo la palla sembra
rinviata al 'centro', inutile nasconderselo, e poiché il gioco non
mi attira (e potrebbe evidentemente apparire solo una mossa
'elettorale'), mi chiedo intanto cosa possa farsi a livello locale,
cioè nel nostro Ateneo. A me pare percorribile un’ipotesi che,
facendosi forte del principio della continuità didattica, riconosca
di fatto una 'titolarità' dell'insegnamento al ricercatore che l'ha
tenuto per un certo numero di anni (cinque, ad esempio). Gli organi
dell'Ateneo, Senato Accademico e Consiglio di Amministrazione,
potrebbero deliberare in tal senso, invitando i dipartimenti a
tenerne conto nella programmazione dell'offerta formativa e dei
compiti didattici. Non credo che manchino nei fatti gli strumenti per
rendere l'indicazione 'concreta'. Si avrebbe così, in attesa di una
risposta del legislatore, un riconoscimento di fatto della funzione
di 'professore', ovviamente con l'accordo del singolo ricercatore,
che accetterebbe nei fatti l'insegnamento come proprio compito
istituzionale.
Analogamente,
mi limito per adesso a un accenno, in una logica di compiuta
valorizzazione di tutte le componenti della comunità universitaria,
bisognerà affrontare la questione del personale
tecnico-amministrativo, per favorire una piena sinergia tra chi,
nell’Università, è impegnato direttamente nell’attività
didattica e di ricerca e chi supporta tale attività assicurando i
servizi. Ciò, a partire dal problema del precariato e della sua
stabilizzazione. Superando mille difficoltà, giuridiche ed
economiche, l’Ateneo si sta già muovendo in questa direzione (è
notizia recente l’immissione in ruolo, a tempo indeterminato, dei
primi 10 lavoratori PUC; nuove stabilizzazioni di lavoratori TD e PUC
sono già state deliberate dal Consiglio di amministrazione; una
soluzione di maggiore serenità è stata individuata, in sinergia con
la Prefettura e con le Organizzazioni sindacali, anche per i
lavoratori ex Coem ed ex Marketing Sud). Ma occorre insistere,
assicurare continuità all’azione già intrapresa. Ebbene, anche
per risolvere questa questione occorre una scelta chiara ed equa, che
miri a garantire tutti e che possa, pertanto, essere da tutti
responsabilmente condivisa: mantenere una corretta proporzione nella
destinazione dei punti organico che si liberano per cessazioni e
pensionamenti (pur nella riduzione consistente del turn over
che è stata imposta dalle recenti norme di legge in materia di
spending review), salvaguardando il settore di provenienza
delle cessazioni (settore tecnico-amministrativo e corpo docente),
per rendere via via possibili stabilizzazioni e reclutamenti.
Enrico
Iachello
mercoledì 16 gennaio 2013
Appello per la Biblioteca 'Civica - A. Ursino Recupero'
Cari Colleghi,
la
situazione della Biblioteca 'Civica - A. Ursino Recupero', la cosa è
ormai di dominio pubblico, è drammatica. Rischiamo di perdere un
patrimonio culturale di inestimabile valore e importanza. Credo che,
accanto alla mobilitazione dell'opinione pubblica e della stampa
locale e nazionale, spetti a noi agire concretamente per rispondere
all'emergenza che la prestigiosa istituzione quotidianamente vive.
Vi
propongo di dar vita a un servizio di volontariato per garantire
l'apertura giornaliera della biblioteca. Basterebbe che ciascuno di
noi si dichiarasse disponibile almeno per due ore al mese per dare un
segnale forte di impegno a sostegno di una istituzione rilevantissima
per noi, per gli studenti e per la città. La biblioteca è il nostro
laboratorio ed è tratto forte della nostra identità culturale.
sabato 12 gennaio 2013
Gruppi di ricerca Lend
(Intervento di Edvige Costanzo, Vice presidente nazionale di LEND)
Tra
i 43 gruppi attualmente attivi nel Lend nazionale (Lingua e nuova
didattica, associazione che propone ricerca e sperimentazione nelle
scuole di ogni ordine e grado, accreditata
presso il MIUR
come Ente formatore) vi è,
dal 2007, anche quello di Catania che ha
intrapreso uno scambio proficuo con la Facoltà di Lettere, (oggi
Dipartimento di Scienze Umanistiche), grazie all’intraprendenza e
alla disponibilità dell’allora preside Enrico Iachello, tramite un
protocollo d’intesa e una convenzione, rinominandosi quindi
Unilend, per trovare
piattaforme comuni di scambi tra il sistema universitario e la rete
di scuole primarie e secondarie.
Proprio al
Monastero dei Benedettini è stata organizzata, il 14 novembre 2008,
una giornata pedagogico-didattica sull’intercultura e la didattica
delle lingue, in cui si sono alternati con successo relatori
internazionali, laboratori articolati su esperienze didattiche
affrontate dai corsisti SISSIS insieme ai loro tutor, e buone
pratiche registrate nelle scuole.
A Catania
inoltre, scelta importante per il territorio, si è tenuto per la
prima volta il convegno nazionale del Lend, fortemente sostenuto
da Enrico Iachello, sul tema Educazione
linguistica e approccio per competenze,
convogliando nella città docenti di tutta la regione e delle regioni
del Sud, oltre ai gruppi Lend delle principali città italiane. Le
tre giornate di studi (29-30-31 ottobre 2009) sono state determinanti
per riconfigurare una nuova prospettiva delle forme, degli obiettivi
e delle metodologie grazie anche alla presenza di relatori che
svolgono la loro attività in seno al Consiglio d’Europa.
Altra tappa
importante per la città di Catania:
il seminario CLIL
(22 e 23 aprile 2010),
per il quale c’è
stata la collaborazione attiva di docenti del territorio e di esperti
internazionali che hanno lavorato sulla tematica in oggetto in
termini di contributi, di esperienze, progetti e pratiche didattiche.
La riforma della scuola secondaria
superiore prevede l’introduzione del CLIL e quindi si rendeva
necessaria una giornata di formazione partendo dalle esperienze
realizzate sul territorio siciliano.
E, ultima in
ordine di tempo ma non per questo meno importante,
la giornata pedagogica del 22 ottobre
2012, Imparare a certificare: quali
competenze per il docente?,
che ha ripreso, in parte, la tematica CLIL correlandola al
plurilinguismo e prendendo in esame
le aeree trasversali e le competenze
chiave per l’apprendimento permanente e la qualità
dell’istruzione. Sono stati presentati anche i futuri progetti
europei ed è stata proposta, con enorme successo, una tavola rotonda
tra imprenditori, dirigenti e rappresentanti delle istituzioni
scolastiche e accademiche per un confronto propositivo e per gettare
le basi di più solide e proficue collaborazioni tra mondo del
lavoro, scuole e università.
Un
augurio, dunque, a Enrico Iachello, per il suo futuro e perché possa
con eguale entusiasmo e competenza continuare a lavorare al sostegno
di progetti qualificanti
per il territorio.
Edvige
Costanzo
giovedì 10 gennaio 2013
A proposito di tasse e di servizi per gli studenti
Questa
estate grande clamore e timore suscitò la possibilità, tra gli
effetti previsti della spending review, dell'aumento delle tasse
universitarie. I media, nazionali e locali, si espressero – come
sovente avviene – con tono allarmistico e raccolsero qualche protesta
anticipata. È il modo sbagliato con cui molti commentatori
reagiscono alla crisi: da una parte, dichiarano ineludibili il rigore
e i sacrifici; dall'altra, come nello specifico, suscitano paure
che producono panico nei cittadini. Certo, se non entriamo
nell'ottica della gravità della situazione, che impone e imporrà
comunque sacrifici a tutti noi, non saremo in grado di uscire dalla
crisi. Questa è la precondizione per affrontare il dramma che il
Paese sta vivendo; serve cioè un approccio che metta in conto i
sacrifici che ciascuno di noi dovrà fare. Ma a una condizione: che i
sacrifici siano sopportabili e lascino intravedere un percorso di
trasformazione virtuosa. Altrimenti, tutto diviene un incubo, e
l'allarme sociale rischia di esplodere in reazioni violente.
Con
questa premessa di metodo, va affrontata anche la questione delle
tasse studentesche, e in particolare degli studenti fuori corso.
Intanto,
va chiarito che nel nostro Ateneo le tasse, per l’anno accademico
2012-2013, sono state fissate senza alcun aumento, neppure in termini
di adeguamento ISTAT, rispetto all’anno precedente. Possiamo quindi
affrontare la questione confrontandoci – democraticamente e
costruttivamente – con gli studenti, con tutta serenità. In
precedenti interventi ho già sostenuto che l'Università deve fare
il massimo sforzo per ricompattare tutte le sue componenti se vuole
svolgere un ruolo significativo nell'affrontare la crisi, salvando se
stessa ma anche dando un contributo al Paese sul come uscirne in modo
positivo. È ovvio quindi che qualsiasi scelta relativa alle tasse va
condivisa con gli studenti, componente essenziale e ‘centrale’,
ragion d’essere principale del mondo universitario.
In
linea di principio, prevedere una maggiore contribuzione a carico
degli studenti fuori corso non è una via affatto illogica: producono un
maggiore costo, nel tempo, per il sistema universitario e incidono
negativamente sui ricavi, giacché riducono la quota ‘premiale’
dell'FFO spettante all’Ateneo presso cui sono iscritti. Ma quando
si parla di ‘fuori corso’ non si può né si deve cadere in
generalizzazioni ‘di categoria’. Più correttamente, occorre per
lo meno distinguere lo studente che va ‘fuori corso’ perché
lavoratore dagli altri. È chiaro che chi lavora per mantenersi
agli studi non può essere trattato alla stregua degli altri
studenti. Con lo studente lavoratore, anziché aumentargli le
tasse quando dovesse risultare ‘fuori corso’, va piuttosto
concordato sin dall’inizio della sua carriera universitaria un
percorso formativo che gli consenta di conseguire in un tempo
ragionevole (che non può essere quello fissato per lo studente ‘a
tempo pieno’) il titolo di studio. Ciò non significa
consentirgli di conseguire un’inutile laurea 'facilitata', ma
impone di fornirgli, da parte dell’Università, un servizio mirato,
idoneo a conciliare l’impegno nel lavoro e l’impegno nello
studio. In concreto, l’Università deve definire insieme allo
studente lavoratore modi e tempi ‘personalizzati’ di acquisizione
e di verifica delle competenze previste dal corso di studio: non
semplicemente – come già avviene – con appelli riservati, ma
prevedendo una diversa articolazione del percorso formativo, anche
attraverso la suddivisione in ‘moduli’ degli insegnamenti.
Un
percorso ‘personalizzato’, in realtà, andrebbe previsto per
tutti gli studenti ‘fuori corso’, individuando le ragioni che
hanno prodotto il rallentamento degli studi, costruendo insieme allo
studente un ‘calendario’ di attività, volto a favorire il
migliore completamento degli studi, stabilendo semmai un aumento
delle tasse soltanto per coloro che non abbiano rispettato il
percorso concordato e calendarizzato. Ciò realizza sia l’interesse
dell'Università, sia quello dello studente. In tal modo, eventuali
aumenti di tasse troverebbero legittimazione nel miglioramento del
servizio formativo, insito nel percorso individualizzato.
Ma
la nuova previsione normativa in ordine al possibile aumento delle
tasse universitarie non riguarda soltanto i ‘fuori corso’; apre
invero alla possibilità che ciascun ateneo stabilisca un aumento
delle tasse per tutti gli studenti universitari, anche quelli in
corso, a esclusione – ma soltanto fino al 2016 – di coloro il cui
reddito familiare sia inferiore ai 40 mila euro l'anno.
Nell’applicare questa norma, bisogna essere assai cauti. Vero è
che va sempre più calando il finanziamento degli studi universitari
coperto dalla fiscalità generale (dal 2008 al 2013, la quota di FFO
spettante al nostro Ateneo è precipitata del 19%, corrispondente a
una perdita di 38 milioni di euro), ma altrettanto vero è che il
costo della crisi generale non può ribaltarsi su chi vive in un
contesto territoriale, qual è il nostro, che sta già subendo le
drammatiche conseguenze di una crisi che si aggiunge a una storica
condizione di sofferenza economica e occupazionale.
A
ogni modo, a qualsiasi eventuale aumento delle tasse (comunque
contenuto nei limiti dello stretto necessario) deve corrispondere un
miglioramento dei servizi, interni ed esterni all’Università,
dedicati agli studenti. Ciò vale anzitutto per i servizi formativi
universitari: orientamento, didattica e tutoraggio devono sempre più
mettere realmente al centro del sistema universitario lo studente,
devono sempre più e sempre meglio vedere impegnata l’intera
comunità universitaria nel far sì che i nostri studenti possano
completare il loro percorso di studio nei tempi previsti, acquisendo
una formazione che risulti adeguatamente spendibile per il loro
ingresso nel mondo del lavoro (il che significa anche rivedere
l’offerta formativa del nostro Ateneo, razionalizzando il contenuto
specifico di ciascun percorso di studi).
D’altro
canto, se la Regione Siciliana riuscisse a svolgere il ruolo di
‘ammortizzatore’, in particolare, com'è sua prerogativa,
attraverso una politica di diritto allo studio veramente incisiva,
allora Università e studenti potrebbero vedere almeno ridotto il
loro stato di difficoltà. Da ciò deriva l’impellente necessità
di sviluppare un confronto sereno e serrato con l'ERSU: il suo nuovo
presidente è senza alcun dubbio un riferimento che lascia – a
partire dai suoi primi atti – ben sperare, conoscendo e stimando da
tempo il collega Alessandro Cappellani. A tal proposito, pongo
intanto una prima questione: la mensa studentesca in centro storico,
dove insitono le facoltà umanistiche, è ormai servizio ineludibile.
Affrontiamo insieme il problema per trovare la soluzione.
Analogamente, con il Comune di Catania, e con le municipalità
dell’hinterland, va affrontata la questione della mobilità
studentesca e del personale universitario (con il connesso dramma dei
parcheggi). Quel che accade attorno ai Benedettini, a Villa Cerami, a
Palazzo delle Scienze è un problema che l’Università patisce (non
avendo strumenti propri per risolverlo); è una questione di tutta la
città. E ancora, non possiamo lasciare soli i nostri studenti di
fronte al problema ‘storico’ della ricerca di un alloggio e a
quello del ‘caro-affitti’: anche in questo caso, la sinergia con
l’ERSU e con il Comune può risultare decisiva.
Non
ho, è evidente, soluzioni preconfezionate e definitive per i
problemi qui affrontati. Indico linee di azione, metodologie e
percorsi per provare a risolverli. Questo approccio ha sempre
caratterizzato la mia azione istituzionale in Ateneo, e continuerà a
caratterizzarla, a maggior ragione, di fronte a una crisi che rimette
seriamente in discussione diritti che consideravamo acquisiti,
prospettive di sviluppo che ritenevamo a portata di mano. Rischiamo
tutti che la casa ci crolli addosso. Il panico e le urla non servono.
Serve una mobilitazione collettiva, unitaria, responsabile, paziente
e intelligente.
Enrico
Iachello
giovedì 3 gennaio 2013
Dialoghi fra Umanesimo e Scienze
Vi invito a partecipare al primo incontro del ciclo Ponti/Bridges, perché appare sempre più inattuale la separazione fra Scienze Umane e Scienze Naturali.
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