giovedì 10 gennaio 2013

A proposito di tasse e di servizi per gli studenti



Questa estate grande clamore e timore suscitò la possibilità, tra gli effetti previsti della spending review, dell'aumento delle tasse universitarie. I media, nazionali e locali, si espressero – come sovente avviene – con tono allarmistico e raccolsero qualche protesta anticipata. È il modo sbagliato con cui molti commentatori reagiscono alla crisi: da una parte, dichiarano ineludibili il rigore e i sacrifici; dall'altra, come nello specifico, suscitano paure che producono panico nei cittadini. Certo, se non entriamo nell'ottica della gravità della situazione, che impone e imporrà comunque sacrifici a tutti noi, non saremo in grado di uscire dalla crisi. Questa è la precondizione per affrontare il dramma che il Paese sta vivendo; serve cioè un approccio che metta in conto i sacrifici che ciascuno di noi dovrà fare. Ma a una condizione: che i sacrifici siano sopportabili e lascino intravedere un percorso di trasformazione virtuosa. Altrimenti, tutto diviene un incubo, e l'allarme sociale rischia di esplodere in reazioni violente.
Con questa premessa di metodo, va affrontata anche la questione delle tasse studentesche, e in particolare degli studenti fuori corso.
Intanto, va chiarito che nel nostro Ateneo le tasse, per l’anno accademico 2012-2013, sono state fissate senza alcun aumento, neppure in termini di adeguamento ISTAT, rispetto all’anno precedente. Possiamo quindi affrontare la questione confrontandoci – democraticamente e costruttivamente – con gli studenti, con tutta serenità. In precedenti interventi ho già sostenuto che l'Università deve fare il massimo sforzo per ricompattare tutte le sue componenti se vuole svolgere un ruolo significativo nell'affrontare la crisi, salvando se stessa ma anche dando un contributo al Paese sul come uscirne in modo positivo. È ovvio quindi che qualsiasi scelta relativa alle tasse va condivisa con gli studenti, componente essenziale e ‘centrale’, ragion d’essere principale del mondo universitario.
In linea di principio, prevedere una maggiore contribuzione a carico degli studenti fuori corso non è una via affatto illogica: producono un maggiore costo, nel tempo, per il sistema universitario e incidono negativamente sui ricavi, giacché riducono la quota ‘premiale’ dell'FFO spettante all’Ateneo presso cui sono iscritti. Ma quando si parla di ‘fuori corso’ non si può né si deve cadere in generalizzazioni ‘di categoria’. Più correttamente, occorre per lo meno distinguere lo studente che va ‘fuori corso’ perché lavoratore dagli altri. È chiaro che chi lavora per mantenersi agli studi non può essere trattato alla stregua degli altri studenti. Con lo studente lavoratore, anziché aumentargli le tasse quando dovesse risultare ‘fuori corso’, va piuttosto concordato sin dall’inizio della sua carriera universitaria un percorso formativo che gli consenta di conseguire in un tempo ragionevole (che non può essere quello fissato per lo studente ‘a tempo pieno’) il titolo di studio. Ciò non significa consentirgli di conseguire un’inutile laurea 'facilitata', ma impone di fornirgli, da parte dell’Università, un servizio mirato, idoneo a conciliare l’impegno nel lavoro e l’impegno nello studio. In concreto, l’Università deve definire insieme allo studente lavoratore modi e tempi ‘personalizzati’ di acquisizione e di verifica delle competenze previste dal corso di studio: non semplicemente – come già avviene – con appelli riservati, ma prevedendo una diversa articolazione del percorso formativo, anche attraverso la suddivisione in ‘moduli’ degli insegnamenti.
Un percorso ‘personalizzato’, in realtà, andrebbe previsto per tutti gli studenti ‘fuori corso’, individuando le ragioni che hanno prodotto il rallentamento degli studi, costruendo insieme allo studente un ‘calendario’ di attività, volto a favorire il migliore completamento degli studi, stabilendo semmai un aumento delle tasse soltanto per coloro che non abbiano rispettato il percorso concordato e calendarizzato. Ciò realizza sia l’interesse dell'Università, sia quello dello studente. In tal modo, eventuali aumenti di tasse troverebbero legittimazione nel miglioramento del servizio formativo, insito nel percorso individualizzato.
Ma la nuova previsione normativa in ordine al possibile aumento delle tasse universitarie non riguarda soltanto i ‘fuori corso’; apre invero alla possibilità che ciascun ateneo stabilisca un aumento delle tasse per tutti gli studenti universitari, anche quelli in corso, a esclusione – ma soltanto fino al 2016 – di coloro il cui reddito familiare sia inferiore ai 40 mila euro l'anno. Nell’applicare questa norma, bisogna essere assai cauti. Vero è che va sempre più calando il finanziamento degli studi universitari coperto dalla fiscalità generale (dal 2008 al 2013, la quota di FFO spettante al nostro Ateneo è precipitata del 19%, corrispondente a una perdita di 38 milioni di euro), ma altrettanto vero è che il costo della crisi generale non può ribaltarsi su chi vive in un contesto territoriale, qual è il nostro, che sta già subendo le drammatiche conseguenze di una crisi che si aggiunge a una storica condizione di sofferenza economica e occupazionale.
A ogni modo, a qualsiasi eventuale aumento delle tasse (comunque contenuto nei limiti dello stretto necessario) deve corrispondere un miglioramento dei servizi, interni ed esterni all’Università, dedicati agli studenti. Ciò vale anzitutto per i servizi formativi universitari: orientamento, didattica e tutoraggio devono sempre più mettere realmente al centro del sistema universitario lo studente, devono sempre più e sempre meglio vedere impegnata l’intera comunità universitaria nel far sì che i nostri studenti possano completare il loro percorso di studio nei tempi previsti, acquisendo una formazione che risulti adeguatamente spendibile per il loro ingresso nel mondo del lavoro (il che significa anche rivedere l’offerta formativa del nostro Ateneo, razionalizzando il contenuto specifico di ciascun percorso di studi).
D’altro canto, se la Regione Siciliana riuscisse a svolgere il ruolo di ‘ammortizzatore’, in particolare, com'è sua prerogativa, attraverso una politica di diritto allo studio veramente incisiva, allora Università e studenti potrebbero vedere almeno ridotto il loro stato di difficoltà. Da ciò deriva l’impellente necessità di sviluppare un confronto sereno e serrato con l'ERSU: il suo nuovo presidente è senza alcun dubbio un riferimento che lascia – a partire dai suoi primi atti – ben sperare, conoscendo e stimando da tempo il collega Alessandro Cappellani. A tal proposito, pongo intanto una prima questione: la mensa studentesca in centro storico, dove insitono le facoltà umanistiche, è ormai servizio ineludibile. Affrontiamo insieme il problema per trovare la soluzione. Analogamente, con il Comune di Catania, e con le municipalità dell’hinterland, va affrontata la questione della mobilità studentesca e del personale universitario (con il connesso dramma dei parcheggi). Quel che accade attorno ai Benedettini, a Villa Cerami, a Palazzo delle Scienze è un problema che l’Università patisce (non avendo strumenti propri per risolverlo); è una questione di tutta la città. E ancora, non possiamo lasciare soli i nostri studenti di fronte al problema ‘storico’ della ricerca di un alloggio e a quello del ‘caro-affitti’: anche in questo caso, la sinergia con l’ERSU e con il Comune può risultare decisiva.
Non ho, è evidente, soluzioni preconfezionate e definitive per i problemi qui affrontati. Indico linee di azione, metodologie e percorsi per provare a risolverli. Questo approccio ha sempre caratterizzato la mia azione istituzionale in Ateneo, e continuerà a caratterizzarla, a maggior ragione, di fronte a una crisi che rimette seriamente in discussione diritti che consideravamo acquisiti, prospettive di sviluppo che ritenevamo a portata di mano. Rischiamo tutti che la casa ci crolli addosso. Il panico e le urla non servono. Serve una mobilitazione collettiva, unitaria, responsabile, paziente e intelligente.

Enrico Iachello

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