martedì 5 febbraio 2013

Il CUN e la fiera delle promesse


Sta suscitando attenzione (per pietà, Rettore e candidato Vecchio, non lo inviate più: lo abbiamo avuto nella nostra mail, moltiplicato in invii ripetuti. Va bene, l'abbiamo ricevuto e letto; non è che l'invio multiplo produca effetti 'di rinforzo', al contrario, fa correre il rischio di saturazione) e molto scalpore il documento del CUN sulla situazione dell'Università italiana. E già questo potrebbe essere un merito: portare l'attenzione di un Paese 'distratto' da altre priorità sull'emergenza 'Università'.
Non c'è dubbio, la situazione dell'Università italiana è critica, drammatica. Le poche risorse che lo Stato investiva nel sistema universitario (poche, soprattutto se paragonate al resto dei Paesi europei) si sono ulteriormente assottigliate, ponendo il sistema in seria difficoltà. Occorre, tuttavia, ammettere – ed è difficile farlo da parte di chi opera quotidianamente all’interno del sistema universitario – che è il Paese a essere complessivamente più povero, un Paese che si trova a fare scelte tali da incidere sui bisogni primari della cittadinanza (dalla sanità, al sistema assistenziale nel suo complesso, alle pensioni) e che si pone il problema prioritario di salvaguardare posti di lavoro, rimettendo in discussione diritti che si ritenevano acquisiti per sempre e che ora da più parti si è spinti a ripensare. Non è allora semplice 'distrazione' – rispetto alle vicende universitarie – quella della pur miope classe politica nazionale (sempre più incapace di adottare strategie di lungo periodo). A meno di non volere raccontare favole – e lo stesso Bersani, cioè la sinistra, che dovrebbe essere più sensibile ai problemi dell’istruzione come fattore di mobilità sociale, lo dice chiaramente – il fatto è che ormai occorre definire un quadro complessivo di compatibilità finanziarie. In altri termini, se proponi investimenti ti devi misurare con la loro redditività e soprattutto devi indicare da dove si prendono, da dove si tolgono, le risorse per finanziarli. Questa è oggi la situazione reale. Lo stesso Berlusconi ha dovuto attrezzare in questo modo la sua retorica populista quando ha proposto di restituire in contanti (ridono ancora le fanciulle di Tracia) l'IMU versata dai contribuenti.
Sto cercando di dire che il documento del CUN rischia di approntare l'ennesimo alibi per il sistema universitario, in modo che la 'colpa' non sia mai nostra, ma degli altri, 'cattivi' per definizione. Che importa se dopo Berlusconi è arrivato Monti, un professore universitario? È al servizio delle banche si dice, e così lo si liquida. Ma Bersani? Cioè, la Sinistra con la S maiuscola? Ma vi ricordate Berlinguer (Luigi) e Mussi? Sono stati prodighi di investimenti per il mondo universitario (e non eravamo ancora con lo spread alle stelle, come poi è accaduto)? Non mi pare. Proviamo allora a riflettere con serietà e soprattutto proviamo a partire dalle nostre responsabilità, a meno di non voler mascherare con urla e strepiti le nostre incapacità.
Si mena scandalo per la diminuzione del numero degli iscritti. Certo, in un Paese che ha meno laureati rispetto agli altri Paesi d'Europa, il dato è segno anch'esso di declino. Ma, chiediamoci, da dove nasce questo fenomeno? Non è – come suggerisce, in un interessante articolo su «La Repubblica» del 1 febbraio, Tito Boeri – che si sta sgonfiando la 'bolla' delle iscrizioni alle lauree triennali? Queste avevano prodotto l'illusione di un titolo più a portata di mano per accedere al mercato del lavoro (e il fatto che la diminuzione sia quasi completamente a carico dei diplomati degli istituti professionali, cioè dei giovani dei ceti più disagiati, grida vendetta e rivela quasi il sadismo di un sistema che ha spacciato illussioni per riforme). Nulla di più falso. Colpa solo di chi le ha introdotte o colpa anche nostra che non riusciamo a pensare all'offerta formativa in termini connessi agli sbocchi lavorativi? Il basso numero di laureati inoltre non si lega con l'alto numero di fuori corso? A Catania, poi, è tra i più elevati d'Italia. Di chi la colpa? Del governo 'ladro'? Ma possiamo continuare a non metterci in discussione e a non assumerci le nostre responsabilità? Non dobbiamo ammettere che dovremmo dedicarci di più alla didattica e agli studenti? È più semplice gridare slogan, certo, e tutti 'mettiamo al centro lo studente'. Cambiare passo, no? Non dobbiamo investire risorse umane nel tentativo di recuperare gli studenti a un percorso di studio 'normale'?
Ci stiamo confrontando in una competizione per l'elezione del rettore. E che leggo nei programmi dei miei colleghi candidati? Vecchio propone la panacea delle fondazioni, come se non sapessimo che esse hanno un vero senso solo se attirano risorse private, cosa nel nostro territorio – e ora con questa crisi! – sempre difficilissima. Mentre la legge sulla spending review scoraggia il trasferimento di denaro pubblico alle fondazioni, avviene invece che la Regione Siciliana (governo Lombardo, quello stesso governo regionale che ha quasi azzerato i contributi per le biblioteche universitarie) concede un finanziamento per più di 3 milioni di euro all’Università di Catania, denari che dovrebbero, però, essere gestiti in buona parte proprio attraverso una fondazione, e per di più con riferimento ad attività per le quali certo non mancano competenze nei dipartimenti dell’Ateneo. Su tale questione, il Consiglio di amministrazione del nostro Ateneo, accogliendo unanime l’indicazione del collega Pietropaolo e mia, ha sollecitato il pieno coinvolgimento dei dipartimenti universitari, sottolineando che occorre instaurare con la Regione una proficua e corretta interlocuzione istituzionale, tale da consentire la definizione di linee di priorità strategiche per gli investimenti negli Atenei, al fine di assicurare i servizi essenziali (tra questi, l’acquisto dei libri, appunto). Che senso ha, allora, continuare a parlare di fondazioni, se poi a finanziarle è sempre il denaro pubblico, quello stesso denaro – invero sempre meno e che costa sempre più ‘lacrime e sangue’ al contribuente – che serve prioritariamente a supportare l’attività istituzionale dell’Università, la didattica dei corsi di studio e la ricerca, a partire da quella di base?
Per Pignataro la crisi non c'è, è come se non ci fosse; neppure intravede il rischio di non potere pagare gli stipendi nel 2014. Parla, piuttosto, di investimenti su tutto, dalla ricerca di base al pagamento sin dal primo credito per i ricercatori impegnati in attività didattiche, ma si dimentica di dire da dove ricava i milioni di euro necessari per farlo, all’interno di un bilancio di Ateneo sempre più in sofferenza a causa del crollo verticale del FFO. Pensa di garantire un sostegno adeguato ai corsi di dottorato soprattutto con risorse esterne (di chi? come? dove?), di 'dare nuova professionalità agli impiegati' perché svolgano un ruolo 'proattivo'. Ma con quali risorse, da dove prendiamo i denari? Prevede il collega, a onor del vero 'senza aggravio di costi', di impegnare alcuni docenti 'stabilmente' nella Scuola superiore. Ma se a breve non basteremo a sostenere la nostra offerta formativa in base ai criteri di accreditamento, come sarà possibile? La riduciamo? Non lo dice il collega.
Si, lo so, l’ho già detto, questo è il Paese dove è stata avanzata la ‘proposta choc’ di restituire in contanti l'IMU versata. Ma noi siamo l'Università, dovremmo almeno provare a non scimmiottare i peggiori esempi della demagogia elettorale. Di fronte alla dilagante fiera delle promesse, proviamo – almeno noi – a esercitare il coraggio della verità.
Enrico Iachello

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