venerdì 15 febbraio 2013

Le priorità dell'Ateneo

Testo pubblicato (con qualche taglio editoriale per esigenze di spazio, qui proposto in versione integrale) su «La Sicilia» del 14 febbraio


Credo che la priorità ‘assoluta’ per la nostra Università, così come per il Paese, sia oggi quella di affrontare la situazione rappresentando correttamente la verità dei fatti ai propri interlocutori e, in particolare, al corpo elettorale, smettendola con la ‘fiera delle promesse’. Occorre porsi di fronte la realtà drammatica del Paese, e in esso della sua Università, se vogliamo uscire dalla crisi. Si richiedono uno sforzo e un impegno straordinario. Così come il nostro territorio vede messo a repentaglio il suo livello di benessere (meglio: quel che ne resta), anche il nostro Ateneo è a rischio.

Si esamini un dato: il contributo del Ministero (il cosiddetto FFO) assegnato all’Ateneo catanese è stimato, per il 2013, in circa 165 milioni di euro (corrisponde alla cifra del 1998); la spesa per i nostri stipendi è pari a 178 milioni. Per quest’anno, con i risparmi fatti in passato e con le riduzioni di spesa degli ultimi esercizi, riusciremo ancora a garantire un servizio adeguato. Dall’anno prossimo, la situazione può precipitare e rischiamo di essere costretti a indebitarci.
Questa è la verità. Che fare?

L’unica strada percorribile consiste nell’attingere sempre di più al fondo premiale del Ministero. Una parte crescente delle risorse ministeriali viene distribuita agli atenei in base ai risultati raggiunti; in particolare, rilevano i risultati della didattica (per adesso ‘misurati’ essenzialmente sulla regolarità del percorso di studio degli studenti) e la produttività della ricerca scientifica. Per entrambi i fattori, il nostro Ateneo può adoperarsi per migliorare il livello delle entrate: la media nazionale dei fuori corso è del 33,5 %, la nostra è superiore al 45%. Per la ricerca, i primi indicatori ci dicono che siamo sotto la media nazionale. Non sono dati che si possono cambiare rapidamente, ma appunto per questo disegnano un’emergenza da affrontare urgentemente e in modo rigoroso. Non abbiamo risorse da investire se non noi stessi. Dobbiamo impegnarci di più nella didattica e nella ricerca.

Sono necessari: 
a. più attività didattica e più tutorato;
b. personalizzare il percorso formativo dei fuoricorso, con uno scadenzario credibile per il conseguimento della laurea;
c. stabilire rapporti organici con le scuole per attivare iniziative di orientamento, ma anche di conoscenza del background studentesco (in modo da ‘calibrare’ le nostre lezioni).

Per la ricerca occorre:
a. dare vita a un osservatorio che ci consenta di ‘entrare’ nel merito di essa, in modo da individuare punti di aggregazione scientifica, ma anche in modo di orientarla in parte sulle esigenze del nostro territorio;
b. non avendo risorse sufficienti per incentivare economicamente chi produce migliore ricerca, dobbiamo riservare le cariche accademiche a chi occupa le posizioni più elevate (i primi due quartili) nelle graduatorie di produttività scientifica. Questo non è un ‘espediente’ per incentivare la produttività scientifica, ma un principio di coerenza per un Ateneo che deve puntare sempre più sulla qualità: il governo dell’Ateneo, a partire dal rettore, deve essere affidato ai docenti che questa qualità garantiscono con il loro lavoro.

Un’altra priorità del nostro Ateneo: ridefinire il nostro ruolo nel territorio, qualificandoci come risorsa per lo sviluppo. Negli anni in cui sono stato preside, il Monastero dei Benedettini è diventato punto di riferimento per l’attività culturale della città. In un dialogo con il Comune, la Provincia e soprattutto la Regione, occorre individuare nel settore dei beni culturali un settore strategico per lo sviluppo dell’Isola; ciò anche attraverso l’incentivazione di iniziative in sinergia pubblico/privato, che riconoscano all’Università il ruolo di leadership scientifica.

Più in generale, occorre dialogare sul serio con le organizzazioni imprenditoriali, sindacali, sociali, per comprendere di quali competenze il nostro territorio abbia bisogno; ciò vale per i corsi di laurea, e vale soprattutto per i master. Da qui bisogna ripartire anche per affrontare in modo positivo lo ‘scandalo’ della formazione nella nostra Regione: agli imprenditori e ai sindacati va richiesto un piano di formazione legato alle reali opportunità di inserimento nel mondo del lavoro; alle istituzioni universitarie può essere affidato l’accreditamento degli enti e il controllo di qualità dei corsi.

Uno dei punti di forza della presenza nel territorio dell'Ateneo è la sanità. Ma l’Ateneo vi interviene e deve potervi intervenire a partire dalla sua specificità: la formazione dei medici, cioè dando priorità a didattica e ricerca. L’assistenza è importante, ma nell’ambito di questa mission didattico-scientifica. Invece la Regione, tramite i suoi direttori, ha sinora spinto a forzare l’attività del Policlinico sul versante ospedaliero. Ma il Policlinico universitario o è un teaching hospital o non esiste. E chi formerà i medici di cui ha bisogno il nostro territorio? Occorre garantire un ‘governo clinico’ del Policlinico.

Per svolgere un ruolo di rilievo, l’Ateneo deve mobilitare al meglio il suo apparato amministrativo. Al direttore generale e alla dirigenza bisogna chiedere di fornire servizi sempre più efficienti, in grado di facilitare l’azione dei docenti. Occorre por fine ai punti di frizione tra burocrazia e docenza. Occorre, però, prendere atto che il rapporto di forze è del tutto a sfavore del personale tecnico-amministrativo, avendo meno tecnici e meno amministrativi degli altri atenei di dimensione pari alla nostra. Dobbiamo, nel reclutamento, tenere conto di ciò in modo adeguato, così come della necessità di stabilizzare i nostri ‘precari’. E per non fare demagogia, dico che le risorse possiamo prenderle solo dai risparmi stipendiali provenienti dal trasferimento sul bilancio regionale del personale del Policlinico. Circa 10 milioni di euro l’anno verranno così risparmiati a regime. Se non si fosse fatta questa operazione, se essa malauguratamente non fosse più possibile, il default sarebbe alle porte.
Enrico Iachello

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