Lo
scorso 7 dicembre, in un intervento pubblicato in questo stesso blog
(dal titolo Docenza e amministrazione),
rivolgevo un invito a tutti coloro che intendono candidarsi alla
carica di rettore del nostro Ateneo, e in particolare al collega
Giacomo Pignataro. Un invito ad approfondire l’analisi delle
problematiche che caratterizzano l’attuale difficile fase del
sistema universitario, ad analizzare a fondo il contenuto di una
riforma che può non piacere, ma che è legge dello Stato e che
pertanto va osservata, a tenere in assoluta considerazione lo stato
decrescente delle risorse finanziarie, in particolare di quelle
derivanti dalla fiscalità generale. Un invito, in sostanza, a
evitare iniziative di stampo elettoralistico, di impronta meramente
demagogica, volte a guadagnare consenso ingannando l’elettorato con
un “libro dei sogni”. In sintesi, dicevo: «occorre,
a tutti noi, fare i conti con la realtà; non si può provare a
vincere raccontando le favole, perché poi non si governa, perché
poi non si è in condizione di soddisfare in alcun modo coloro che ci
hanno votato cavalcando l’onda emozionale di ‘proclami’ di per
sé irrealizzabili, sia per vincoli di legge, sia per indisponibilità
di risorse finanziarie».
Ho
avuto modo di approfondire il contenuto e il senso del mio invito,
rivolto ai potenziali candidati alla carica di rettore, in varie
occasioni pubbliche e anche in un recente incontro vis-à-vis
con il collega Pignataro. Mi era sembrato che l’amico Giacomo
trovasse convincente e condivisibile il mio invito del 7 dicembre. Mi
rendo conto che quell’invito sembra oggi essere caduto nel vuoto.
Ma non dispero, e di fronte al proliferare, tanto incalzante quanto
incontrollato, di ‘proclami’ provenienti dal collega, provo
nuovamente a ripetere il mio ragionamento e confido in maggiore
successo: repetita iuvant!
Rammento, anzitutto a me
stesso, che di qui a un mese saremo chiamati a eleggere il nuovo
rettore. Che si tratti del principale organo dell’Ateneo non v’è
dubbio. Che si tratti di un ruolo di grande responsabilità e di
assoluto prestigio, in particolare per ciò che concerne il
coordinamento delle attività didattiche e scientifiche dell’Ateneo,
non ci sarebbe neppure bisogno di dirlo. E però, come ho già avuto
modo di osservare, con un motto di spirito, in una recente
intervista, non stiamo andando a eleggere «né Robespierre, né
Napoleone», né – tanto meno – stiamo pensando a una nuova
caricatura del ‘grande dittatore’… per quella ci ha già
pensato, con indiscusso successo, il mitico Charlie Chaplin.
Abbandonando la facezia,
ciò che intendo sottolineare è che il ruolo del rettore è un ruolo
delicatissimo, che richiede grande equilibrio, che non può non
caratterizzarsi per la capacità di ‘fare squadra’, anzitutto con
tutti gli altri organi dell’Ateneo, nel rispetto delle competenze
per ciascuno di essi disegnate dalla legge di riforma e riprodotte
nel nostro Statuto. Lo dico alla luce della lunga e formativa
esperienza di coordinatore di un’importante e complessa struttura
didattica (l’ex Facoltà di Lettere e Filosofia), un’esperienza
che è certamente mancata al collega Pignataro; lo dico
nell’interesse generale del nostro Ateneo: una ‘macchina’
complessa e articolata, che va guidata con saggezza, evitando
logoranti contrapposizioni istituzionali, che certamente non aiutano
ad affrontare l’attuale momento critico (per l’intero Paese e per
il sistema universitario, in particolare), a superare i tanti
problemi quotidiani con la necessaria concordia.
E
veniamo alle incessanti proposte di riforma statutaria avanzate dal
collega Pignataro, che a sommarle tutte fanno immaginare una prossima
profonda ‘riscrittura’ del nostro Statuto, per di più secondo
una linea in palese contrasto con tanti aspetti della legge di
riforma. Torno a dire, e lo dico da consigliere di amministrazione
oltre che da candidato alla carica di rettore: «non c’è in Italia
alcuna forza politica, seriamente candidata al governo del Paese
(basta leggere i programmi elettorali),
che intenda porre mano, nell’immediato, a una profonda
rimeditazione della riforma universitaria, e soprattutto che abbia in
agenda una ‘controriforma’ della recente riforma, notoriamente
bipartisan.
Anche i ‘nostalgici’ se ne facciano una ragione; il lavoro che
ora ci attende consiste nell’applicare al meglio la riforma, per
trarre dalle nuove prassi che sapremo adottare un’opportunità di
miglioramento del nostro ‘essere Università’. Ciò vale anche a
livello locale: il nostro Ateneo ha attraversato – non senza
scossoni – la stagione della riforma statutaria, voluta dalla legge
Gelmini. Tale stagione ha impegnato tutti noi, ci ha appassionato e
si è oggi ‘storicizzata’: non vedo
negli organi di Ateneo a cui compete la revisione statutaria, il
Senato accademico e il Consiglio di amministrazione, da poco eletti
con le nuove regole e in carica sino al 2016 (e che hanno espresso a
larghissima maggioranza piena fiducia al rettore per l’azione
svolta nell’intero corso della riforma statutaria), alcuna frenesia
di prodursi in un nuovo esercizio costituente. Il che mi sembra assai
ragionevole, considerata la naturale ‘rigidità’ di ogni
esperienza statutaria. Avviamoci,
quindi, con convinzione, anche critica, nella pratica dell’Università
riformata, trovando per tale via le soluzioni più adeguate al nostro
agire quotidiano; evitiamo di avvitarci – com’è tipico della
peggiore politica – in un perpetuo, e spesso inconcludente,
discorso sulle regole del ‘gioco’. Piuttosto, sperimentiamole
‘giocando’: rimbocchiamoci le maniche, esercizio – questo sì –
assai impellente in un momento così difficile per l’intera
Nazione, mettendo sempre più impegno nel nostro lavoro, nella
didattica, nella ricerca, nei servizi, per venire fuori dalla crisi,
presto e bene, per provare ad avviare nuovi percorsi di crescita,
superando le tante difficoltà congiunturali che oggi ‘ingessano’
l’azione del nostro Ateneo. Ci sarà tempo, esaurita la
sperimentazione, per ritornare a discutere delle regole (ivi comprese
le norme statutarie che disciplinano le modalità di scelta dei
consiglieri di amministrazione) e per correggere quelle che hanno
fatto peggiore prova».
Anche il collega
Pignataro se ne faccia una ragione, ma soprattutto lo comprendano
quei suoi eventuali elettori, che intendessero ancora esprimergli il
loro consenso perché si aspettano un’immediata riscrittura dello
Statuto, che non potrà esserci per le ragioni sopra illustrate.
Quanto poi alla
‘rivoluzione organizzativa’ prospettata dal collega Pignataro,
anche in questo caso rinvio al mio documento del 7 dicembre 2012.
Troverete lì le ragioni normative che hanno prodotto la
riorganizzazione amministrativa del marzo 2012; sempre lì, gli
indiscutibili vantaggi che da essa sono derivati a salvaguardia
dell’equilibrio di bilancio; il contributo che la stessa ha dato
per la valorizzazione professionale del personale
tecnico-amministrativo, componente fondamentale della nostra comunità
universitaria; le proposte concrete, praticabili sia dal punto di
vista normativo, sia in termini di copertura finanziaria, volte a
superare le criticità che il nuovo modello organizzativo ha fatto
emergere, ma senza «scomodarci in riforme statutarie, che rischiano
soltanto di rallentare i processi, condannandoci a un’infinita
transizione, per ripristinare le ‘segreterie amministrative dei
dipartimenti’ del tempo che fu e l’afferenza (invero mai
prevista) del personale tecnico-amministrativo ai dipartimenti».
Invito il collega
Pignataro a dare uno sguardo a tali proposte, considerando anche che
si tratta di tematiche, strettamente connesse alla complessiva
gestione e organizzazione dei servizi, delle risorse strumentali e
del personale tecnico-amministrativo dell’Ateneo, certamente
affidate dal legislatore (quello della riforma universitaria, ma
anche quello del testo unico sul pubblico impiego) a competenze
diverse rispetto a quelle rettorali, che vedono principalmente
coinvolti il management universitario (la dirigenza e, in
particolare, il direttore generale) sulla base degli indirizzi
forniti dal consiglio di amministrazione.
A meno
che il prof. Pignataro non intenda proporsi per la carica di
direttore generale, ma forse preferirebbe addirittura quella di
amministratore unico dell’Ateneo! Premesso che la carica di
direttore generale è già coperta per i prossimi anni, con ottimo
apprezzamento da parte degli altri organi di Ateneo, il collega
Pignataro sembra proporsi come un direttore purtroppo affetto da
qualche forma di ‘strabismo’: sembra cioè troppo sensibile alle
pretese restauratrici, non del sindacato – istituzione nobile e
imprescindibile, soprattutto in un momento di complessiva crisi del
Paese – bensì di qualche poco apprezzabile dirigente sindacale,
che forse vive ancora il rammarico di avere perso le ‘rendite di
posizione’ godute in passato; risulta, invece, assai poco attento
alle esigenze reali dei lavoratori e alla salvaguardia
dell’occupazione. Ciò vale, anzitutto, per i tanti lavoratori che
l’Ateneo ha avviato in questi anni verso la definitiva fuoriuscita
dal precariato (e mi duole ricordare che la prima delibera in tal
senso del Consiglio di amministrazione, quella riguardante il
personale TD, assunta il 7 settembre 2010, non trovò il voto
favorevole dei rappresentanti del personale tecnico-amministrativo
che facevano parte di quel Consiglio, ma forse è più corretto
indicarli quali sindacalisti della CISL e della UIL) . Lo dico a
chiare lettere, senza mezzi termini: i processi di stabilizzazione
che riguardano il personale TD e il personale PUC, ma anche il
personale LSU (ivi compresi i lavoratori ex Coem e Marketing Sud) e
gli operai agricoli vanno condotti a termine, per tutti i lavoratori
interessati, ‘senza se e senza ma’.
Come ho già avuto modo di dire, tale ambizioso progetto (più unico
che raro in questa fase storica di ristrettezze economiche), condotto
coraggiosamente dall’Ateneo in sintonia con le organizzazioni
sindacali, a partire dalla CGIL, è reso possibile dalle economie
prodotte «dal trasferimento a carico del servizio sanitario del
personale impiegato dal Policlinico. La
vertenza con la Regione Siciliana assume a questo punto i connotati
di una ‘battaglia di sopravvivenza’, nell’interesse dei precari
dell’Ateneo, che attendono di essere stabilizzati, e dell’Ateneo
nel suo complesso, che può trarre linfa vitale per il suo sviluppo.
Al nuovo Governo regionale questa situazione va rappresentata con la
massima urgenza: ne va della vita del sistema universitario
regionale».
Rivolgo, infine, un
ultimo suggerimento al collega Pignataro, con riferimento alla sua
proposta, lanciata alle ricercatrici e ai ricercatori dell’Università
di Catania, concernente un fantomatico «processo di chiamata diretta
degli abilitati (ai sensi dell’articolo 29 comma 4 della legge
240/2010, e poi del D.M. 15/12/2011 e sgg.)». Che il prof. Pignataro
non sia un giurista ce lo ha ricordato lui stesso in una recente
intervista. Neanche io sono un giurista, ma proprio per questo, prima
di avventurarmi in proposte, che magari finiscono col produrre mal
riposte aspettative, mi consulto con i giuristi, con gli addetti ai
lavori, provando a ‘fare squadra’ anche con loro. Ebbene, mi
creda il prof. Pignataro, l’art. 29, comma 4, della legge 240/2010
non c’entra proprio niente con i ricercatori che conseguiranno
l’abilitazione scientifica nazionale per professore associato,
riguardando invero gli idonei nelle valutazioni comparative ai sensi
della legge 210/1998, e comunque prima dell’entrata in vigore dei
regolamenti di Ateneo in materia di procedure di chiamata.
I ricercatori a tempo
indeterminato del nostro Ateneo, che conseguiranno l’abilitazione
scientifica nazionale, potranno tuttavia godere di una procedura
diversa da quella “di chiamata”, che dicesi procedura “di
valutazione”, e non perché lo proclama il prof. Pignataro, bensì
perché è prevista dall’ordinamento (art. 24, commi 5 e 6, della
legge 240/2010 e D.M. 4 agosto 2011, n. 344), è espressamente citata
nel recentissimo decreto interministeriale del 28 dicembre 2012 (in
materia di piano straordinario per la chiamata di professori di
seconda fascia), è perfettamente nota al Consiglio di
amministrazione.
Enrico Iachello
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