venerdì 25 gennaio 2013

Un nuovo rettore o il grande dittatore? Discutendo con Giacomo Pignataro


Lo scorso 7 dicembre, in un intervento pubblicato in questo stesso blog (dal titolo Docenza e amministrazione), rivolgevo un invito a tutti coloro che intendono candidarsi alla carica di rettore del nostro Ateneo, e in particolare al collega Giacomo Pignataro. Un invito ad approfondire l’analisi delle problematiche che caratterizzano l’attuale difficile fase del sistema universitario, ad analizzare a fondo il contenuto di una riforma che può non piacere, ma che è legge dello Stato e che pertanto va osservata, a tenere in assoluta considerazione lo stato decrescente delle risorse finanziarie, in particolare di quelle derivanti dalla fiscalità generale. Un invito, in sostanza, a evitare iniziative di stampo elettoralistico, di impronta meramente demagogica, volte a guadagnare consenso ingannando l’elettorato con un “libro dei sogni”. In sintesi, dicevo: «occorre, a tutti noi, fare i conti con la realtà; non si può provare a vincere raccontando le favole, perché poi non si governa, perché poi non si è in condizione di soddisfare in alcun modo coloro che ci hanno votato cavalcando l’onda emozionale di ‘proclami’ di per sé irrealizzabili, sia per vincoli di legge, sia per indisponibilità di risorse finanziarie».

Ho avuto modo di approfondire il contenuto e il senso del mio invito, rivolto ai potenziali candidati alla carica di rettore, in varie occasioni pubbliche e anche in un recente incontro vis-à-vis con il collega Pignataro. Mi era sembrato che l’amico Giacomo trovasse convincente e condivisibile il mio invito del 7 dicembre. Mi rendo conto che quell’invito sembra oggi essere caduto nel vuoto. Ma non dispero, e di fronte al proliferare, tanto incalzante quanto incontrollato, di ‘proclami’ provenienti dal collega, provo nuovamente a ripetere il mio ragionamento e confido in maggiore successo: repetita iuvant!

Rammento, anzitutto a me stesso, che di qui a un mese saremo chiamati a eleggere il nuovo rettore. Che si tratti del principale organo dell’Ateneo non v’è dubbio. Che si tratti di un ruolo di grande responsabilità e di assoluto prestigio, in particolare per ciò che concerne il coordinamento delle attività didattiche e scientifiche dell’Ateneo, non ci sarebbe neppure bisogno di dirlo. E però, come ho già avuto modo di osservare, con un motto di spirito, in una recente intervista, non stiamo andando a eleggere «né Robespierre, né Napoleone», né – tanto meno – stiamo pensando a una nuova caricatura del ‘grande dittatore’… per quella ci ha già pensato, con indiscusso successo, il mitico Charlie Chaplin.

Abbandonando la facezia, ciò che intendo sottolineare è che il ruolo del rettore è un ruolo delicatissimo, che richiede grande equilibrio, che non può non caratterizzarsi per la capacità di ‘fare squadra’, anzitutto con tutti gli altri organi dell’Ateneo, nel rispetto delle competenze per ciascuno di essi disegnate dalla legge di riforma e riprodotte nel nostro Statuto. Lo dico alla luce della lunga e formativa esperienza di coordinatore di un’importante e complessa struttura didattica (l’ex Facoltà di Lettere e Filosofia), un’esperienza che è certamente mancata al collega Pignataro; lo dico nell’interesse generale del nostro Ateneo: una ‘macchina’ complessa e articolata, che va guidata con saggezza, evitando logoranti contrapposizioni istituzionali, che certamente non aiutano ad affrontare l’attuale momento critico (per l’intero Paese e per il sistema universitario, in particolare), a superare i tanti problemi quotidiani con la necessaria concordia.

E veniamo alle incessanti proposte di riforma statutaria avanzate dal collega Pignataro, che a sommarle tutte fanno immaginare una prossima profonda ‘riscrittura’ del nostro Statuto, per di più secondo una linea in palese contrasto con tanti aspetti della legge di riforma. Torno a dire, e lo dico da consigliere di amministrazione oltre che da candidato alla carica di rettore: «non c’è in Italia alcuna forza politica, seriamente candidata al governo del Paese (basta leggere i programmi elettorali), che intenda porre mano, nell’immediato, a una profonda rimeditazione della riforma universitaria, e soprattutto che abbia in agenda una ‘controriforma’ della recente riforma, notoriamente bipartisan. Anche i ‘nostalgici’ se ne facciano una ragione; il lavoro che ora ci attende consiste nell’applicare al meglio la riforma, per trarre dalle nuove prassi che sapremo adottare un’opportunità di miglioramento del nostro ‘essere Università’. Ciò vale anche a livello locale: il nostro Ateneo ha attraversato – non senza scossoni – la stagione della riforma statutaria, voluta dalla legge Gelmini. Tale stagione ha impegnato tutti noi, ci ha appassionato e si è oggi ‘storicizzata’: non vedo negli organi di Ateneo a cui compete la revisione statutaria, il Senato accademico e il Consiglio di amministrazione, da poco eletti con le nuove regole e in carica sino al 2016 (e che hanno espresso a larghissima maggioranza piena fiducia al rettore per l’azione svolta nell’intero corso della riforma statutaria), alcuna frenesia di prodursi in un nuovo esercizio costituente. Il che mi sembra assai ragionevole, considerata la naturale ‘rigidità’ di ogni esperienza statutaria. Avviamoci, quindi, con convinzione, anche critica, nella pratica dell’Università riformata, trovando per tale via le soluzioni più adeguate al nostro agire quotidiano; evitiamo di avvitarci – com’è tipico della peggiore politica – in un perpetuo, e spesso inconcludente, discorso sulle regole del ‘gioco’. Piuttosto, sperimentiamole ‘giocando’: rimbocchiamoci le maniche, esercizio – questo sì – assai impellente in un momento così difficile per l’intera Nazione, mettendo sempre più impegno nel nostro lavoro, nella didattica, nella ricerca, nei servizi, per venire fuori dalla crisi, presto e bene, per provare ad avviare nuovi percorsi di crescita, superando le tante difficoltà congiunturali che oggi ‘ingessano’ l’azione del nostro Ateneo. Ci sarà tempo, esaurita la sperimentazione, per ritornare a discutere delle regole (ivi comprese le norme statutarie che disciplinano le modalità di scelta dei consiglieri di amministrazione) e per correggere quelle che hanno fatto peggiore prova».
Anche il collega Pignataro se ne faccia una ragione, ma soprattutto lo comprendano quei suoi eventuali elettori, che intendessero ancora esprimergli il loro consenso perché si aspettano un’immediata riscrittura dello Statuto, che non potrà esserci per le ragioni sopra illustrate.

Quanto poi alla ‘rivoluzione organizzativa’ prospettata dal collega Pignataro, anche in questo caso rinvio al mio documento del 7 dicembre 2012. Troverete lì le ragioni normative che hanno prodotto la riorganizzazione amministrativa del marzo 2012; sempre lì, gli indiscutibili vantaggi che da essa sono derivati a salvaguardia dell’equilibrio di bilancio; il contributo che la stessa ha dato per la valorizzazione professionale del personale tecnico-amministrativo, componente fondamentale della nostra comunità universitaria; le proposte concrete, praticabili sia dal punto di vista normativo, sia in termini di copertura finanziaria, volte a superare le criticità che il nuovo modello organizzativo ha fatto emergere, ma senza «scomodarci in riforme statutarie, che rischiano soltanto di rallentare i processi, condannandoci a un’infinita transizione, per ripristinare le ‘segreterie amministrative dei dipartimenti’ del tempo che fu e l’afferenza (invero mai prevista) del personale tecnico-amministrativo ai dipartimenti».
Invito il collega Pignataro a dare uno sguardo a tali proposte, considerando anche che si tratta di tematiche, strettamente connesse alla complessiva gestione e organizzazione dei servizi, delle risorse strumentali e del personale tecnico-amministrativo dell’Ateneo, certamente affidate dal legislatore (quello della riforma universitaria, ma anche quello del testo unico sul pubblico impiego) a competenze diverse rispetto a quelle rettorali, che vedono principalmente coinvolti il management universitario (la dirigenza e, in particolare, il direttore generale) sulla base degli indirizzi forniti dal consiglio di amministrazione.
A meno che il prof. Pignataro non intenda proporsi per la carica di direttore generale, ma forse preferirebbe addirittura quella di amministratore unico dell’Ateneo! Premesso che la carica di direttore generale è già coperta per i prossimi anni, con ottimo apprezzamento da parte degli altri organi di Ateneo, il collega Pignataro sembra proporsi come un direttore purtroppo affetto da qualche forma di ‘strabismo’: sembra cioè troppo sensibile alle pretese restauratrici, non del sindacato – istituzione nobile e imprescindibile, soprattutto in un momento di complessiva crisi del Paese – bensì di qualche poco apprezzabile dirigente sindacale, che forse vive ancora il rammarico di avere perso le ‘rendite di posizione’ godute in passato; risulta, invece, assai poco attento alle esigenze reali dei lavoratori e alla salvaguardia dell’occupazione. Ciò vale, anzitutto, per i tanti lavoratori che l’Ateneo ha avviato in questi anni verso la definitiva fuoriuscita dal precariato (e mi duole ricordare che la prima delibera in tal senso del Consiglio di amministrazione, quella riguardante il personale TD, assunta il 7 settembre 2010, non trovò il voto favorevole dei rappresentanti del personale tecnico-amministrativo che facevano parte di quel Consiglio, ma forse è più corretto indicarli quali sindacalisti della CISL e della UIL) . Lo dico a chiare lettere, senza mezzi termini: i processi di stabilizzazione che riguardano il personale TD e il personale PUC, ma anche il personale LSU (ivi compresi i lavoratori ex Coem e Marketing Sud) e gli operai agricoli vanno condotti a termine, per tutti i lavoratori interessati, senza se e senza ma. Come ho già avuto modo di dire, tale ambizioso progetto (più unico che raro in questa fase storica di ristrettezze economiche), condotto coraggiosamente dall’Ateneo in sintonia con le organizzazioni sindacali, a partire dalla CGIL, è reso possibile dalle economie prodotte «dal trasferimento a carico del servizio sanitario del personale impiegato dal Policlinico. La vertenza con la Regione Siciliana assume a questo punto i connotati di una ‘battaglia di sopravvivenza’, nell’interesse dei precari dell’Ateneo, che attendono di essere stabilizzati, e dell’Ateneo nel suo complesso, che può trarre linfa vitale per il suo sviluppo. Al nuovo Governo regionale questa situazione va rappresentata con la massima urgenza: ne va della vita del sistema universitario regionale».

Rivolgo, infine, un ultimo suggerimento al collega Pignataro, con riferimento alla sua proposta, lanciata alle ricercatrici e ai ricercatori dell’Università di Catania, concernente un fantomatico «processo di chiamata diretta degli abilitati (ai sensi dell’articolo 29 comma 4 della legge 240/2010, e poi del D.M. 15/12/2011 e sgg.)». Che il prof. Pignataro non sia un giurista ce lo ha ricordato lui stesso in una recente intervista. Neanche io sono un giurista, ma proprio per questo, prima di avventurarmi in proposte, che magari finiscono col produrre mal riposte aspettative, mi consulto con i giuristi, con gli addetti ai lavori, provando a ‘fare squadra’ anche con loro. Ebbene, mi creda il prof. Pignataro, l’art. 29, comma 4, della legge 240/2010 non c’entra proprio niente con i ricercatori che conseguiranno l’abilitazione scientifica nazionale per professore associato, riguardando invero gli idonei nelle valutazioni comparative ai sensi della legge 210/1998, e comunque prima dell’entrata in vigore dei regolamenti di Ateneo in materia di procedure di chiamata.
I ricercatori a tempo indeterminato del nostro Ateneo, che conseguiranno l’abilitazione scientifica nazionale, potranno tuttavia godere di una procedura diversa da quella “di chiamata”, che dicesi procedura “di valutazione”, e non perché lo proclama il prof. Pignataro, bensì perché è prevista dall’ordinamento (art. 24, commi 5 e 6, della legge 240/2010 e D.M. 4 agosto 2011, n. 344), è espressamente citata nel recentissimo decreto interministeriale del 28 dicembre 2012 (in materia di piano straordinario per la chiamata di professori di seconda fascia), è perfettamente nota al Consiglio di amministrazione.
Enrico Iachello

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